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Organizzare l’altruismo: un welfare per l’eta’ della globalizzazione
Intervista a Mauro Ceruti

Intervista a Mauro Ceruti, a cura di Mary Malucchi

La nozione di “altruismo organizzato” fa riferimento non solo ad una categoria morale ma, finalmente, ad una categoria filosofica; anziché favorire politiche che perseguano l’utile a breve termine è ormai necessario, per la sopravvivenza stessa della specie umana, delineare orizzonti più ampi, capaci di inglobare non solo i progetti personali, ma anche quelli di gruppi e comunità, nella prospettiva della solidarietà planetaria.

Nel suo ultimo libro, Organizzare l’altruismo. Globalizzazione e welfare (Laterza, 2010), scritto insieme a Tiziano Treu, Mauro Ceruti delinea un orizzonte nuovo ed inedito per l’umanità in bilico tra auto-distruzione e sopravvivenza, dove l’individualismo non è più il quadro di riferimento e la solidarietà, la cooperazione, l’altruismo assumono un ruolo centrale nel delineare le prospettive future.
D. Nel tuo volume la questione del welfare viene accostata al fenomeno della globalizzazione. Perché questo processo è divenuto oggi imprescindibile nell’analisi dell’evoluzione e delle prospettive della nostra società?
R. Oggi viviamo in un tempo di transizione, in un passaggio d’epoca. La parola globalizzazione non compare in nessun dizionario di nessuna lingua del 1989. Da lì le cose sono cambiate in maniera quantitativamente così rapida e qualitativamente così radicale come non era mai accaduto nella storia umana. È accaduto un passaggio d’epoca nel corso di una stessa generazione attraverso le coordinate della globalizzazione che dopo la fine della guerra fredda ha reso, nel bene e nel male, tutto irreversibilmente interdipendente e più vicino, consegnando la costruzione del futuro al soggetto umanità tutto intero.

D. Questo significa che, mentre in passato le istituzioni pubbliche avevano il compito di garantire la coesione sociale, in una società sempre più globale ed interdipendente questo ruolo viene messo in discussione?R. Indubbiamente dal secondo dopoguerra fino alla fine degli anni Novanta, l’espansione del welfare state ha attenuato e ridotto le deviazioni di un sistema economico capitalista sempre più forte. L’apparato del welfare, oltre a contrastare gli eccessi delle forze concorrenziali, ha tutelato, grazie alla sua rete di società di mutuo soccorso, centri di assistenza, enti di cooperazione, la funzione ed il ruolo degli ordinamenti democratici, riducendo la crescita esasperata di tendenze individualistiche e competitive.
L’attuale interdipendenza planetaria sminuisce – oggi – il ruolo degli Stati nazionali e indebolisce i loro meccanismi di tutela sociale. Eppure, dopo che le pratiche neoliberiste degli anni Novanta del Novecento hanno mostrato tutti i loro limiti ed errori per la drastica politica di delegittimazione dei meccanismi di tutela sociale e delle istituzioni pubbliche, è sempre più urgente rivedere gli attuali meccanismi di governo e di progettazione economico-sociale, nonché riaffermare la necessità del welfare per ogni società umana.

D. In una congiuntura storica in cui la concorrenza, l’individualismo, la libertà senza regole governano le società, come immagini il ruolo del welfare?R. La vecchia idea di un’economia finalizzata esclusivamente alla produzione di beni materiali e ricchezza e di un welfare indirizzato, invece, al mantenimento di garanzie e diritti fondamentali si è rivelata fallimentare. Dobbiamo pensare ad un sistema integrato in cui il patrimonio di saperi, pratiche e competenze costruito dal welfare sia messo al servizio dell’economia, della politica, della finanza così da produrre una ricchezza economica imprescindibile dal riconoscimento delle diversità, delle relazioni, dei diritti umani e strettamente connessa allo sviluppo globale dell’umanità.

D. La prospettiva di poter adottare uno stile di vita più sostenibile ed umano chiama in causa da un lato interventi concreti sul piano politico-programmatico e dall’altro la necessità di un mutamento più profondo della cultura collettiva.R. Negli ultimi vent’anni è cambiata all’interno di una stessa generazione la condizione umana, ed è interessantissimo che la condizione umana nel suo carattere inedito (ciò vuol dire che non si è mai vista una condizione umana di questo tipo) interpelli ciò che nella nostra storia moderna sembrava più consolidato. Anche se la modernità appariva come uno stato finale del progresso umano, i concetti che sono stati i pilastri della costruzione della nostra società come la sovranità assoluta degli stati, i confini territoriali, le identità, i modi di dirimere i conflitti diplomatici, la nozione di guerra, si sono sciolti come neve al sole in pochissimi anni lasciandoci il compito non solo di trovare soluzioni inedite, ma anche di formulare in modo nuovo problemi, perché prima di trovare soluzioni nuove bisogna essere in grado di formulare nuovi tipi di problemi. Se non siamo consapevoli che i problemi sono nuovi, scopriamo soluzioni nuove, ma nell’ordine di idee della vecchia mentalità. Cambiare mentalità non è un problema solo da filosofi, ma un problema concreto della politica, di chi fa il commercio, di chi fa impresa, di chi insegna. La cifra della nuova condizione umana è, da un lato, la necessità di accelerare per stare dietro alla quotidianità e, dall’altro lato, la necessità di rallentare per non perderci in questa accelerazione. Come ci hanno insegnato anche gli scienziati (si pensi al passaggio dal mondo tolemaico al mondo copernicano) cambiare mentalità è molto arduo perché la vecchia mentalità è molto più raffinata di quella nuova non ancora costruita e soprattutto si è già trasformata in metafore e luoghi comuni consolidati.

D. Quali sono i principi fondamentali di una nuova filosofia capace di prospettare un nuovo umanesimo planetario per il futuro dell’umanità?R. Direi che nell’attuale congiuntura storica sia necessario passare dai giochi a somma zero dove “vinco io perché perdi tu” ai giochi a somma positiva dove “vinco io proprio perché vinci anche tu”. Questo significa che anziché favorire politiche che perseguano l’utile a breve termine è ormai necessario, per la sopravvivenza stessa della specie umana, delineare orizzonti più ampi capaci di inglobare non solo i progetti personali, ma anche quelli di gruppi e comunità, consapevoli che solo con il contributo dell’altro si può arrivare dove da soli non si può.

D. L’altruismo viene in genere considerato come un valore attinente la sfera strettamente morale. Nel tuo libro, invece, esso presenta un valore aggiunto, in quanto viene applicato all’organizzazione sociale e materiale delle vite umane.R. Parlando di altruismo abbiamo paventato la possibilità che questa parola potesse essere interpretata in senso moralistico, ma oggi una cifra della nostra condizione umana che ci impone di cambiare mentalità è proprio un portato della globalizzazione e della tecnologia cioè la scoperta della nostra umana comunità di destino. L’evidenza di questa comunità di destino è emersa per la prima volta dopo duecentomila anni di storia di Homo Sapiens sulla terra a Hiroshima alla fine della seconda guerra mondiale, quando emerse che la mente umana aveva prodotto con il suo straordinario ingegno la bomba atomica, cioè uno strumento di guerra che, se applicato sistematicamente, avrebbe provocato non più vincitori e vinti, ma solo vinti. Nel 1962 in occasione della crisi di Cuba, quando in piena guerra fredda Stati Uniti e Unione Sovietica si trovarono nella possibilità di fare esplodere un nuovo conflitto mondiale, questa volta atomico, nell’enciclica Pacem in Terris Papa Giovanni XXIII fu il primo a parlare di questa nuova condizione antropologica esortando alla necessità economica e politica (non morale e religiosa) di concepire, anche attraverso meccanismi come l’ONU, l’unità di interessi e di destino della famiglia umana. La nozione di altruismo organizzato o l’auspicio di organizzare l’altruismo stanno a significare questo, la necessità di concepire oggi l’altruismo non solo come categoria morale ma finalmente come categoria filosofica. La storia dell’umanità è la storia del modo in cui l’io diventa tale sempre attraverso l’altro, fin dalla nascita individuale e dalla nascita delle società. Ma oggi questa necessità morale e antropologica ci interpella come necessità economica e politica: l’altruismo è una necessità pratica dal punto di vista economico e politico. Cambiare mentalità è un compito difficile, ma necessario per il futuro locale e globale dell’umanità.