Ernesto Balducci: superamento del marxismo ed utopia planetaria
di Mary Malucchi
sommarietto: Balducci ha sicuramente utilizzato concetti, categorie o suggestioni derivati dal pensiero marxista ma li ha però riferiti ad un nuovo contesto planetario, ad uno scenario quasi apocalittico in cui la capacità di rapportarsi all’altro, senza preconcetti ma con una disposizione all’ascolto in vista di una soluzione comune, sarà forse l’unica discriminante per garantire un futuro all’umanità.
Analisi strutturale della società contemporanea
All’interno di un percorso intellettuale ricco e articolato, Balducci si concentra, a partire dagli anni 80, su una ricerca prevalentemente antropologica e politico-sociale. Assunto l’uomo come centro della propria riflessione e la storia come terreno di una possibile liberazione dell’umanità, egli elabora una visione del mondo a partire dall’analisi degli squilibri e delle contraddizioni della società contemporanea. Pur collocandola in una prospettiva per il futuro di tipo etico, di fronte alla portata apocalittica delle sempre più gravi disfunzioni biologiche e sociali, tenta di ricondurre l’indagine alle cause “strutturali” e “sistemiche”, di matrice non solo culturale, ma anche politica ed economica.
I risultati della scienza sono ormai inequivocabili: le conseguenze di un uso sconsiderato delle risorse naturali e umane stanno mettendo in discussione non solo i principi etici di giustizia e solidarietà, ma la stessa sopravvivenza della specie. Questo significa per lo scolopio che il modello di sviluppo su cui si regge il sistema mondiale deve necessariamente mettere in discussione i propri presupposti. Anche se la cultura egemone continua ad attribuire alla fatalità ciò che rientra nelle scelte responsabili delle classi dominanti, per Balducci è necessaria una politica che, sulla base di strumenti scientifici, vada ad individuare il nome storico dei mali sociali. E oggi – dice padre Ernesto – «tutti i mali del mondo sono addosso al capitalismo. Non è una denuncia moralistica […]. Il discorso ha una sua obiettività scientifica. Mentre dal punto di vista del potere politico ha di fatto la responsabilità del futuro del mondo, il capitalismo ha la evidente incapacità di rispondere a questa sua responsabilità» . Infatti, parlare dei “peccati del mondo” senza fare riferimento al sistema capitalistico, significherebbe per lui eliminare «la dignitosa umana capacità di affrontare la radice storica del male di cui soffriamo» . Quindi se l’unica salvezza possibile dell’umanità è affidata all’azione politica, essa deve escludere ogni generico intervento che non vada al cuore dell’organizzazione sociale ed economica per determinare «il capovolgimento di un sistema nel quale lo sfruttamento dell’uomo non è un incidente casuale, ma un suo principio strutturante» .
Riprendendo un pensiero di Luciano Martini, possiamo allora dire che l’aspetto più appariscente della critica balducciana all’occidente, «è stato quello politico, quello della polemica rivolta contro il Nord del mondo e dell’analisi delle modalità strutturali produttrici dello sfruttamento» .
Proprio nel dichiarare che «nessun obiettivo morale è serio se non è anche un obiettivo politico e che nessun obiettivo politico è serio se non è anche un obiettivo economico» , lo scolopio riconosce esplicitamente le ragioni dell’analisi del “vecchio Marx” e ci lascia uno dei tanti riferimenti ad una “fonte” che ricorre, seppur in maniera differenziata, in tutta la sua opera. Certo, come ha detto Sergio Caruso, «Balducci non è mai stato marxista, checché dicessero da destra i suoi accusatori di allora» ; tuttavia pur non accettando mai il corpus dottrinale come tale, ne ha però condiviso «la tensione utopica, la critica dell’alienazione, l’opzione politica a favore delle classi subalterne e le categorie analitiche della società industriale» . E avendone accolto suggestioni importanti per la propria indagine sulla modernità, ritengo utile mettere in evidenza alcuni concetti derivati da questa “contaminazione”.
Quel che credeva Marx
Pur riconoscendo la validità di una filosofia capace di individuare la matrice politica ed economica degli squilibri della società, lo scolopio mantiene con il marxismo un rapporto articolato e multiforme, spesso in bilico tra critica e condivisione, ma di cui andremo ad inquadrare alcuni nodi significativi.
Intanto, di fronte all’imminente collasso dell’intero ecosistema, anche il sogno di poter sollevare i popoli della terra ai livelli di progresso raggiunti dai paesi occidentali viene annullato dall’impossibilità per la biosfera di sostenere tanto sfruttamento. Il nuovo paradigma della “complessità” comporta per lo scolopio la necessità di superare l’ottica “di dominio” ereditata dal meccanicismo moderno e di assumere una visione “sistemica” ove i «particolari trovano senso nel rapporto con l’insieme e l’insieme nei particolari» secondo vincoli di rispetto e reciprocità.
La stessa analisi di Marx, pur avendo descritto in modo inesorabile i nodi critici del capitalismo, prospettava comunque un suo superamento rivoluzionario conseguente ad una estensione del sistema oggi non più proponibile. Se Marx credeva che la borghesia, inducendo tutte le nazioni ad adottare forme di produzione capitalistica, avrebbe necessariamente comportato la ribellione in massa di un proletariato esasperato dallo sfruttamento, la precarietà degli equilibri ecologici rende per Balducci impossibile l’ipotesi di un allargamento del capitalismo ai paesi sottosviluppati. Pur ritenendo l’analisi di classe un irrinunciabile criterio di giudizio politico, tuttavia esiste per lo scolopio, «una divaricazione più profonda in cui si condensano, al di là della conflittualità economica, conflittualità etico-culturali più ataviche» . L’alienazione che per Marx «dalla fabbrica passava ai rapporti sociali, per noi passa alle acque, all’aria, al suolo, anzi al tetto atmosferico» , rivelando contraddizioni messe in moto dalla rivoluzione industriale, ma che sono “meta-economiche”, ancora più a fondo dell’economia. Quanto Marx non comprese, né poteva comprendere, poiché figlio «dell’ottimismo della rivoluzione industriale e ancora ignaro delle conseguenze della seconda legge della termodinamica» , era l’insostenibilità di un modello di sviluppo che, mettendo a rischio in modo irreparabile l’equilibrio stesso del cosmo, non può funzionare come strumento del processo rivoluzionario. Certo – dice padre Ernesto – la sua potente analisi della società borghese ha correttamente criticato il carattere puramente formale dell’uguaglianza introdotta dalla Dichiarazione del 1791, ed ha individuato il male del sistema capitalistico negli effetti alienanti che esso causa sulla classe debole e sottomessa, ma «noi siamo in grado non tanto di correggere quanto di portare più a fondo la sua analisi perché abbiamo sotto gli occhi, per dir così, i documenti dell’alienazione della stessa biosfera, dell’accelerazione entropica che quel sistema produce». Anche Marx nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 parlava oltre che di “umanizzazione della natura” realizzata quando essa «entra nel dominio dell’uomo come oggetto delle sue manipolazioni», anche di “naturalizzazione dell’uomo”, ma non spiegando bene, secondo Balducci, che cosa effettivamente intendesse. Restando interno all’orizzonte della modernità, Marx non riuscì a prevedere l’evoluzione che quel sistema avrebbe percorso, scontando per lo scolopio «il limite specifico dell’antropologia moderna, che è l’identificazione del senso dell’uomo col suo dominio sulle cose, […] nel presupposto che l’uomo si realizza nella manipolazione tecnica della realtà, quasi fosse una manipolazione in se stessa moralmente neutra, proseguibile all’infinito». Sfuggiva insomma a Marx quel che, secondo padre Ernesto, non sfugge all’odierna coscienza ecologica, cioè che «esiste tra l’uomo e le cose di natura una reciprocità che sta prima del livello del sistema produttivo, sta prima della sfera dell’utile. C’è tra l’uomo e la natura una gratuità analoga a quella che corre tra due soggetti umani, che prima di essere coartati dentro il rapporto servo-padrone esigono di porsi l’uno di fronte all’altro come un Io e un Tu».
L’insostenibilità ecologica di una estensione del modello capitalistico a tutti i paesi del mondo mette quindi Balducci in contrasto con lo storicismo tipicamente marxiano che, auspicando un allargamento planetario delle contraddizioni, si colloca inevitabilmente al di fuori di ogni possibile via di liberazione. Questo però non significa che l’incompleta “naturalizzazione” dell’uomo marxiano, rimasto interno alla sfera dell’utile , sia per lui minimamente paragonabile allo sfruttamento illimitato e incondizionato che l’impostazione liberale ipotizza di continuare non solo sulla natura, ma anche sulla parte debole dell’umanità. Ritenendo necessario «scegliere tra un sistema […] in cui è il mercato che regola la democrazia a proprio arbitrio e un sistema in cui sia la democrazia a regolare il mercato», padre Ernesto dimostra infatti una presa di posizione chiara e definitiva. Se «l’analisi di Marx va non già negata, ma corretta […] con una integrazione che potremmo intitolare “al di là del principio dell’economia”», è per lui necessario abbandonare categorie ormai storicizzate quali borghesia e proletariato e recuperare il nucleo ancora attuale dell’indagine sulle contraddizioni sociali.
Avendo infatti mosso le obiezioni più precise contro il capitalismo, il marxismo – dice Balducci – «si è storicamente candidato a essere quanto meno una componente necessaria della razionalità che può far nascere il futuro che attendiamo».
Il privilegio di pochi
Duplice resta alla fine il nucleo originario individuato da padre Ernesto come base per un ripensamento critico di questa ideologia e per una nuova prospettiva di civiltà.
Intanto, presa coscienza dei limiti culturali in cui è nato, che lo rendono inadeguato a delineare un percorso di salvezza al genere umano, il marxismo può comunque fornire le categorie scientifiche che spiegano le contraddizioni della società capitalistica.
Anche se l’ipotesi di un semplice mutamento di egemonia di classe appare oggi riduttiva e il proletariato, ormai integrato nella spartizione del profitto, non può più essere il soggetto deputato al cambiamento rivoluzionario del mondo, tuttavia gli squilibri della società contemporanea vanno secondo Balducci ricondotti al dominio e allo sfruttamento capitalistici che Marx aveva tanto esaurientemente descritto. Se Marx nell’ottocento considerava il proletariato come rispecchiamento delle nefandezze interne della borghesia, per lo scolopio «il Terzo Mondo è il rispecchiamento visibile, per chiunque voglia vederlo, della inadeguatezza del sistema capitalistico a rispondere a problemi che esso stesso ha inventato».
Infatti il sistema di produzione capitalistico, se osservato dal perimetro occidentale, può destare facili esaltazioni, «ma se lo guardate in tutta l’estensione dei suoi processi – dice padre Ernesto – vi accorgerete che esso è alla radice delle più tragiche contraddizioni, prima fra tutte la segregazione di 4/5 dell’umanità dalle condizioni elementari del benessere, anzi perfino dalla speranza del sopravvivere». E un meccanismo in cui il progresso del 25% della popolazione mondiale implica necessariamente lo sfruttamento del 75%, mette in luce per Balducci una sproporzione che non può essere proiettata nel futuro senza generare l’assurdo. Se nei segreti pensieri del Nord il Sud assume il ruolo predestinato di “pattumiera” finalizzata a mantenere il nostro benessere, oggi però sappiamo con certezza che «milioni di persone muoiono di fame non accanto a noi, ma a causa del nostro livello di vita che sperpera le energie prodotte dal pianeta».
Lo scolopio contesta dunque un modello di sviluppo che, pur creando un “capitalismo felice” per una piccola porzione dell’umanità, implica poi non solo “l’affamamento” dell’altra parte del mondo, ma anche la catastrofe fisica dell’intero sistema. Così se Marx non poteva prevedere lo sbocco apocalittico di una forma di produzione, che però definì alienante e ingiusta, oggi secondo Balducci possiamo dire che «il collasso ecologico è il riflesso cosmico di quella alienazione. […] Ormai è chiaro che il primato del profitto nella produzione è intrinsecamente mortale».
Pur avendo insomma smussato la contrapposizione tra borghesia e proletariato, l’economia di mercato ha comunque mantenuto, al fine del privilegio di pochi, il dominio sull’uomo e sulla natura, creando un meccanismo che deve per lo scolopio non solo essere analizzato come causa dei mali sociali, ma combattuto con una credibile «alternativa al sistema». Quindi per lui, «l’analisi marxiana perde di valore solo se si resta fermi al vecchio operaismo, quello della falce e martello, ma se si hanno sott’occhio, nella loro nuova dimensione, le meccaniche di devastazione del capitalismo, quell’analisi è in grado di farci scoprire i luoghi in cui si sono spostate le contraddizioni rivoluzionarie».
Costruendo il futuro
Se la strategia politica deve partire dalle condizioni esistenti e affidare l’ipotesi rivoluzionaria non a impossibili capovolgimenti radicali, ma alle possibilità concrete della società, queste possibilità vanno comunque lette – dice padre Ernesto – «non secondo la saggezza gestionaria di chi considera l’esistente come l’unico dei mondi possibili, ma secondo l’intelligenza dialettica che determina il possibile dentro il cuore delle contraddizioni fondamentali». Costruendo il futuro anziché da un prolungamento del presente, dalla affermazione concreta di possibilità nuove, Balducci enuncia dunque il secondo aspetto di quel nucleo originario di Marx cui è necessario tornare nel delineare una prospettiva di alternativa sociale.
Se infatti il marxismo di origine ottocentesca è oggi in crisi, ciò è dovuto per lo scolopio alla sua “antropologia positivistica” che, considerando le dinamiche della storia come leggi di natura, vedeva il futuro dell’uomo come proiezione delle attese decifrate dall’analisi scientifica. Solo circoscrivendo le molte degenerazioni positivistiche è ancora possibile per la proposta marxista «reimmergersi nel suo humus utopico originario e riprendere le proprie misure sull’uomo totale di cui parlava Marx».
Sulla scia del processo di ripensamento cui è stato sottoposto il marxismo di confessione positivistica da parte di autori come Garaudy e Bloch, anche padre Ernesto riconosce quindi la sterilità storica di quel filone e tenta un recupero del momento sorgivo dell’utopia marxiana. L’originalità del pensiero di Garaudy consiste infatti per Balducci nel ritenere «essenziale nell’eredità di Marx, non il marxismo, ma la prospettiva», e nell’assumere la “trascendenza” come modalità di superamento dell’esistente e di creazione di un futuro diverso.
Il filosofo francese, considerando che Marx non ha mai «definito il socialismo unicamente dal punto di vista economico ma mettendosi sempre dal punto di vista dell’uomo totale», rivaluta la creazione del futuro a partire non “dall’estrapolazione positivistica”, ma «dall’immaginazione veramente creatrice del nuovo progetto di civiltà, dando così all’impresa la sua dimensione utopistica». Definita la “prospettiva” come “l’utopia più la verifica” Garaudy rivaluta comunque anche il momento scientifico annunciando così una «frattura profetica che diventa operativa», un avvenire non più come prolungamento del passato, ma dimensione concreta di «ciò che non è ancora».
Lo stesso Balducci, seguendolo nel suo «sforzo di recupero delle dimensioni umanistiche del marxismo», riconduce ogni progetto storico alle misure del possibile storicamente determinato, ma senza escludere dall’orizzonte ciò che appare irrealizzabile. Il vero realismo è per lui «dalla parte dell’utopia, presuppone, cioè, un giudizio sui fatti che adotti come sua caratteristica specifica quella del futuro». Solo restituendo il primato alla speranza, il marxismo può dunque recuperare lo slancio utopico da cui era ispirato il pensiero di Marx e delineare una prospettiva alternativa senza divenire strumento di un sistema di dominio.
Fondamentale in questo senso è stata l’influenza che Ernst Bloch, con la sua “utopia concreta” e la tensione verso possibilità non ancora conosciute, ha fortemente esercitato su di lui. Il filosofo tedesco, come dice Remo Bodei nella sua Introduzione, pur partendo da «un’assenza, un “solido nulla” che rivela nella vita degli uomini il fatto che “qualcosa è rimasto cavo”», ipotizza poi una speranza che diviene “concreta” nel momento in cui è in grado di «possedere l’autentico non-ancora dell’oggetto», e di trascendere l’esistente con una prospettiva che realizzi ciò che è appena “possibile”. Se la materia si caratterizza per la “potenzialità” di assumere sempre nuove forme, l’utopia si definisce allora non come desiderio senza forma, ma concreta anticipazione del “non-ancora-cosciente”, un “non-ancora-divenuto” latente nei processi storici in corso.
Così anche lo scolopio, contestando un sistema che interpreta il futuro come prolungamento dell’esistente, teorizza una speranza come “spazio residuo della libertà”, i cui progetti non possono esser giudicati credibili a partire dalla razionalità vigente, ma misurati sulle possibilità anche inedite in grado di orientare l’agire comune degli uomini. La transizione richiesta come unica alternativa alla catastrofe non può insomma essere il prodotto necessario degli eventi in corso, ma, senza considerare solo ciò che è edito come misura del poter essere, implica il confronto con quel ventaglio di potenzialità che trascende l’esistente storicamente determinato.
L’utopia di cui parla Balducci si configura allora non come astratto esercizio dell’immaginazione, ma “possibilità” latente ai processi storici in corso, in attesa di passare all’atto quando quel “di più di essere” non sarà oscurato dai paradigmi culturali dominanti.
Uno scenario (quasi) apocalittico
Nel ricostruire l’articolato rapporto che lo scolopio ha mantenuto con il marxismo, dobbiamo anche ricordare la sua tendenza, soprattutto nel periodo della maturità, a relativizzare tutte le forme culturali che volessero porsi come punti di vista totalizzanti o visioni onnicomprensive del mondo. I quadri ideologici di riferimento in quanto «storicamente subalterni alla società industriale che […] non è il tutto, ma una parte del tutto», sono per lui superati da una nuova frontiera in cui l’uomo, «finalmente libero dalle tradizioni settoriali […] farà sua ragione di vita e di morte la salvezza dell’umanità». Anche il marxismo deve, secondo padre Ernesto, «ridurre dentro i giusti confini le sue certezze ideologiche e riprendersi in mano il proprio destino», rinunciando ad assolutizzare un percorso di liberazione che non può oggi trascurare il sistema di interdipendenze a dimensione planetaria che definisce le attuali problematiche in corso.
Questo non significa naturalmente che Balducci non abbia utilizzato concetti, categorie o suggestioni derivati da quella matrice ideologica. Li ha però utilizzati e applicati ad un nuovo contesto planetario, ad uno scenario quasi apocalittico in cui la capacità di rapportarsi all’altro senza un preordinato “modo di leggere le cose”, ma con una disposizione all’ascolto in vista di una soluzione comune, sarà forse l’unica discriminante per garantire un futuro all’umanità.
In un’epoca di disincanto in cui le coscienze sono sempre più ripiegate su se stesse, prigioniere di un individualismo senza avvenire e senza orizzonti universali, vorrei concludere con quel suo sogno “possibile” capace di farci vivere per un futuro diverso dalla mera prosecuzione del presente.
Riferendosi a Marx quando parlava del suo “sogno di una cosa”, Balducci sostiene che «solo oggi, cadute in disuso le mappe ideologiche in cui si era soliti definire l’ordine del mondo, […] l’antico sogno riprende possesso di se stesso e la cosa attende ancora una volta il suo nome». E questo resta un grande messaggio di libertà. E di speranza.