di Silvia Guetta
Ci sono alcune domande fondamentali che dovrebbero porsi coloro che hanno responsabilità, a vario titolo, in campo educativo: Cosa significa oggi essere cittadino del mondo? Qual è il modo per vivere consapevolmente tale condizione? Nel tempo della globalizzazione, come si apprende a stare nella complessità senza essere disorientati dal flusso incessante delle immagini e delle informazioni? Quali saperi, esperienze e competenze culturali e interculturali, disciplinari e transdisciplinari abbiamo bisogno di individuare, per garantire e migliorare i livelli di democrazia di cui sta beneficiando solo una piccola parte della popolazione del pianeta? Domande che non troveranno risposte definitive, ma che potranno sollecitare punti di vista, riflessioni, per contrastare la convinzione (che connota anche un certo tipo di formazione scolastica) che il certo e l’immutabile, il sicuro e il semplicistico e il culto narcisistico di sé siano gli obiettivi a cui avviarsi ineluttabilmente nella vita.
Quale formazione per gli abitanti della Terra Patria?
È necessario uscire da una visione ristretta della realtà educativa e formativa per ampliare gli orizzonti verso una dimensione che renda ogni abitante del pianeta consapevole di appartenere ad un’unica identità terrestre (Morin, 2001). Per Morin l’identità terrestre è distaccarsi dalla comprensione settoriale e divisiva della realtà. Quella stessa comprensione che ancora la scuola tende a mantenere nel suo modello di divisione e gerarchia delle discipline. Un approccio che, secondo i modelli razionalisti e positivisti, dovrebbe facilitare la comprensione della realtà, perché ridotta e semplifica. La frammentazione è spesso dovuta alla incapacità di creare e gestire collegamenti e interdipendenze, perché per queste sono richieste abilità cognitive, emotive, spirituali e fisiche, capaci di elaborare simultaneamente numerose operazioni conoscitive. La frammentazione della realtà risulta, inoltre, incapace di restituire il vero senso dell’umano, di individuare il rapporto di reciprocità che c’è tra il tutto e le parti e le parti con il tutto. Essa limita fortemente anche lo sviluppo dell’operatività della mente, generando disordini anche sul comportamento della persona e sulla partecipazione di cittadinanza attiva e critica. L’isolamento dei saperi impedisce di cogliere che la vita, a qualsiasi livello e campo si riferisca, si costruisce nella relazione e nell’interconnessione. «Il problema planetario è un tutto che si nutre di ingredienti multipli, critici, che li ingloba, che li supera e che a sua volta li nutre. (…) L’esigenza dell’era planetaria è di pensare la sua globalità, la relazione tutto-parti, la multidimensionalità, la complessità»1.
La forte dipendenza dalle immagini e dalle informazioni della rete, che sembrano libere, ma che in realtà sappiamo bene essere orientate dagli algoritmi che noi stessi produciamo, ci porta a restringere lo sguardo sulla realtà. La fantasia e l’immaginazione appaiono oggi come funzioni cognitive inutili e improduttive sulle quali l’educazione scolastica ha smesso di investire. Tuttavia, per evitare l’alienazione e l’atrofizzazione del pensare e del sentire, è assolutamente necessario uscire dalle interpretazioni che riportano l’esistenza di un unico piano di realtà, riferita solo a ciò che appare, a ciò che è considerato prossimo e a ciò che la mente ritiene di sapere.
La nostra conoscenza non solo non può essere perfetta ed esaustiva, ma, secondo il modello della complessità si avvale di due elementi regolatori che per lungo tempo abbiamo escluso perché considerati disturbanti: l’errore e l’incertezza. Ceruti (2018) ha esaminato come l’errore sia inevitabile nel processo scientifico e come la sua comprensione e gestione siano cruciali per lo sviluppo della conoscenza.
Come l’errore è parte integrante del processo scientifico, così l’incertezza (Morin, 2015) ha un ruolo fondamentale nel contrastare le certezze assolute, proponendo un dinamico e costante dialogo pubblico tra i processi decisionali e i risultati del sapere scientifico. Per tale motivo l’incertezza è al tempo stesso un elemento fondamentale nella trasmissione e nell’interpretazione della scienza, ma anche una caratteristica inevitabile della vita umana (Di Alessandro 2020).
Ceruti avverte che, al contrario di quello che si pensa, gli adolescenti «(…) sono sempre più isolati. Acquisiscono moltissime informazioni e incontrano culture diverse. Tuttavia, ciò accade per lo più in modi frammentari, senza filtri interpretativi, che l’aiutino a mettere in relazione le loro molteplici esperienze in un percorso formativo unitario»2. La frammentazione della realtà e l’immediatezza data dai social media e mezzi di comunicazione che tendono a colpire i molteplici canali percettivi ed emotivi agendo in modo da rendere passivo il soggetto destinatario del messaggio, sollecitano riflessioni importanti su come, in ambito educativo, sia possibile mediare la conoscenza della realtà per la costruzione di un sentire e di un pensare complesso.
Non è sufficiente abitare il mondo globalizzato per dire di conoscerlo. Se non comprendiamo la necessità di educare all’umano (Morin, 2000) attraverso un approccio che ponga al centro la relazione e la mediazione della realtà non può esistere apprendimento. Stiamo parlando di una mediazione che, come affermano Goussot e Zucchi, riferendosi al pensiero di Vygotskij (Goussot , Zucchi, 2015) e poi Feuerstein sul piano metodologico-educativo (2018), vede nella cultura e nell’interazione sociale i processi fondamentali per lo sviluppo di menti che sappiano interpretare in modo attivo e creativo la realtà come contesto di saperi in evoluzione e relazionati tra loro. La mediazione culturale, come processo attraverso il quale gli individui acquisiscono conoscenze e competenze grazie alla cura degli, con e per gli altri, compreso l’ambiente culturale, deve mantenere un ruolo centrale in ogni processo educativo. Senza una mediazione che dia senso e valore all’agire umano, che permetta di collegare gli elementi tra loro, che ricerchi in profondità il significato di ciò che conosciamo e che ci ponga di fronte ai problemi, sollecitando la mente a interrogarsi su come stia elaborando i saperi per svelare bias, pregiudizi e false credenze, la costruzione di pratiche di cittadinanza globale pacifica non può realizzarsi.
Senza la mediazione, che permette di riconoscere, elaborare e produrre cultura in senso lato, non è possibile, secondo Feuerstein, sviluppare il senso di appartenenza e di cittadinanza consapevole, perché vengono a mancare i presupposti cognitivi, emotivi, spirituali e fisici per comprendere la realtà.
Il contrasto alla comprensione frammentaria e a una invasività e dipendenza dalle tecnoscienze e dall’intelligenza artificiale deve sostenere la progettazione di percorsi di educazione alla cittadinanza globale non omologante e schiacciante. Questo è un problema che tocca, in primis, chi educa, perché incaricato del difficile compito di mediare i processi di apprendimento tenendo presente che la tecnoscienza, l’intelligenza artificiale non producono qualità umana.
Come avviare alla Cittadinanza Globale (ECG)
L’UNESCO e l’Unione europea iniziano a formulare, a partire dalla fine degli anni Novanta, in riferimento alla necessità di condividere a livello mondiale la costruzione dei saperi e dei presupposti pacifici per la convivenza tra i popoli, dopo la caduta di ideologie contrapposte, l’idea di educare alla cittadinanza globale (ECG). Essa è sostenuta anche dalla consapevolezza che il mondo si stia caratterizzando da sempre più visibili forme di interdipendenza e che, per i tempi accelerati già avviati dalle nuove tecnologie, avrebbero avuto conseguenze significative, anche se talvolta negative e distruttive, sulle società e sulle vite dei cittadini del pianeta (De Nardis, 2014). Una consapevolezza che è andata crescendo con l’affermazione programmatica degli obiettivi dell’Agenda 2030 per il miglioramento delle condizioni di vita del pianeta.
Tutto ciò, viene oggi sempre più evidenziato da alcuni macro-fenomeni che dimostrano questa interdipendenza: la crisi climatica, la pandemia e le guerre. A questi tre macro-fenomeni mondiali vanno aggiunti la discriminazione di genere e il dilagante fenomeno del terrorismo.
Ma queste interdipendenze sono accompagnate da quelle quotidiane che agiamo e riproponiamo spesso senza accorgersene. Anche le nostre vite, le nostre professioni, il cibo che noi mangiamo, lo sviluppo delle nostre comunità, sono influenzate da dinamiche globali delle quali siamo spesso inconsapevoli.
Complessità e globalità devono, quindi, trovare il modo di dialogare comprendendo le incertezze, gli errori e le interrelazioni presenti in ogni realtà. Società e comunità locali sono sempre più caratterizzate dal pluralismo sociale, culturale e religioso. Oggi il loro compito è promuovere la conoscenza chiara e precisa del significato di interdipendenza per contrastare forme di relativismo, apparentemente più semplici da apprendere, ma prive di senso di responsabilità, libertà di scelta e di conflittualità come espressione di diversità.
Bisogna riconoscere i conflitti interpersonali e internazionali, senza che evolvano verso forme di violenza e fare in modo che diventino un’opportunità di conoscenza reciproca, diano spazio alla creatività, al problem solving e alla trasformazione migliorativa della realtà. Bisogna promuovere i valori che non devono essere persi e dimenticati, come la democrazia, l’uguaglianza, l’accoglienza, l’amicizia, la gentilezza ecc. Essi devono essere curati quotidianamente per evitare che vengano sopraffatti da forme di individualismo egoistico e solitario.
Brigham (2011) sostiene che educare alla cittadinanza globale rappresenti una via per comprendere come il mondo lavora, come collega tra loro le nostre proprie vite e quelle di tutti i popoli. La necessità e l’impegno nel leggere e comprendere i fenomeni come relazioni che non avvengono in modo deterministico, ma sono espressione di libertà di scelta e di complessità da esplorare nelle loro reali e molteplici dimensioni, irriducibilmente intrecciate (Ceruti, 2018), ci porta a interrogarsi su quale attribuzione di significato può assumere l’ECG nelle differenti, articolate e conflittuali aree del pianeta, in quei luoghi dove sono presenti la povertà, la discriminazione, la sottomissione, la negazione dei diritti e la violenza. Com’è possibile portare la riflessione sulla cittadinanza globale, come espressione di una uguaglianza di condizione e partecipazione al miglioramento e a benessere del pianeta, quando contemporaneamente stiamo distruggendo il pianeta con odio e disprezzo per la vita propria, degli altri e di ogni essere vivente? Come possiamo opporci, con interventi educativi efficaci, sulla apparentemente nonviolenta e indolore colonizzazione e omologazione delle menti, dei corpi, dei comportamenti, delle relazioni, capace di trascinare l’essere umano stesso verso il punto di non ritorno?
Ogni essere umano ha responsabilità verso ciascun altro
Banks (2003) ha affermato che l’educazione alla cittadinanza ha tradizionalmente avuto un carattere nazionale e che questo tipo di formazione deve essere trasformata perché gli studenti del XXI secolo vivono una realtà in gran parte virtuale, con scarse relazioni interpersonali autentiche, significative e coinvolgenti. Questa è una delle cause, se non la principale, della crescente percezione di solitudine che abbassa la motivazione e la progettazione per il futuro, alimenta la convinzione dell’incomunicabilità e del senso di incomprensione, porta a ricercare colui che viene considerato il responsabile del proprio malessere che può portare a forme distruttive di hate speech. L’immediatezza reattiva evidenziabile nelle comunicazioni e nei comportamenti, dovuta anche alla scarsità di tempo, tipica delle società delle competenze, che limita l’elaborazione dei processi storico-culturali necessari per poter rielaborare il sovrannumero di flussi di informazioni, può causare confusione mentale, disorientamento, difficoltà a leggere e interpretare i propri sentimenti e bisogni. Il contatto immediato con il mondo reso disponibile dalla tecnologia offre molti stimoli per ampliare lo spazio del visibile, con i suoi linguaggi e sue culture, ma rimane limitato dalla sfera della immediatezza.
Tutto questo si pone davanti a noi in contrasto con quanto presentato dalle indicazioni UNESCO che affidano all’Educazione alla Cittadinanza Globale lo sviluppo di una profonda comprensione di come agire per prendere decisioni, e di come contribuire a risolvere i difficili problemi del mondo rafforzando la democrazia e promuovendo l’uguaglianza e la giustizia sociale nelle loro comunità culturali, nazioni e regioni. Secondo Banks l’educazione alla cittadinanza dovrebbe essere finalizzata a far comprendere che nessuna realtà locale può mai giustificare la dimenticanza del fatto che ogni essere umano ha delle responsabilità nei confronti di ciascun altro (Banks, 2008). Gli studenti devono ricevere un’educazione all’etica, ai valori, al comportamento sociale e alle competenze per poter avere una reale comprensione del mondo ed essere attivi e indipendenti, ma nello stesso tempo comunitari, e immersi nella vita sociale (Navehebrahim e Masoudi, 2011).
La questione, pertanto, come sostiene Tarozzi, non può riguardare solo il sistema educativo, perché il dibattito sulla cittadinanza globale, deve essere analizzato criticamente in prospettiva transdisciplinare interrogando le politiche, le economie, le questioni sociali, scientifiche, religiose, culturali e produttive che influenzano la partecipazione democratica e la giustizia a livello globale.
La transdisplinarità, la cui carta programmatica scritta da Edgar Morin, Lima De Freitas e Basarab Nicolescu nel 1994 (P. Orefice, C. Orefice, 2020) si collega direttamente alle considerazioni sulla complessità in quanto pone come centrale la relazione tra le discipline che si viene a creare nell’interesse di conoscere e considerare i problemi reali. A differenza della interdisciplinarità che viaggia tra le discipline, ma che tra loro non trovano relazioni, la transdisciplinarità partendo dai problemi reali domanda alle discipline, quale contributo possono dare per analizzare le questioni come, ad esempio, la violenza nella società o nella scuola, la povertà, la mancanza di risorse per la sopravvivenza del pianeta, ecc.
È questo un approccio alla conoscenza che oltre ad affermare l’importanza della relazione, del sistema aperto e non limitato del sapere, alimenta la stessa cultura di pace, come impegno costante che ogni essere umano ha il dovere di realizzare partendo dalla consapevolezza delle proprie azioni.
L’educazione alla cittadinanza globale può offrire ai bambini e ai giovani, ma anche a chi ha la responsabilità di proporla e di realizzarla, l’opportunità di sviluppare un pensiero critico su questioni globali complesse nello spazio diversificato del gruppo scolastico, della comunità e nella prospettiva di cittadinanza planetaria. Incoraggiando i bambini e i giovani a esplorare, sviluppare ed esprimere i propri valori e le proprie opinioni, ascoltando e rispettando, al contempo, i punti di vista altrui, attraverso l’attivazione di empatia, spiritualità, la condivisione e la compassione, si rendono reali e concreti quei processi di inclusione di tutti sono destinati a beneficiarne.
Alla sperimentazione e comprensione di come sulla interdipendenza si costruiscano i valori dei diritti e doveri di ogni essere umano, il senso di responsabilità e la partecipazione, devono essere coinvolti i bambini di tutte le età, di ogni appartenenza, di ogni luogo perché anche i bambini più piccoli, in quanto cittadini a pieno diritto, si trovano faccia a faccia con le questioni controverse del nostro tempo attraverso i media e le moderne tecnologie di comunicazione (Oxfam, 2006). Questo significa un monitoraggio coraggioso e decisivo di come sono proposti i curricula scolastici, quali i modelli educativi e i contenuti veicolati attraverso i processi di apprendimento.
Un punto importante nell’ECG è prestare attenzione alla originalità e specificità umana, ai processi interculturali e interreligiosi e alla frequenza delle questioni sollevate nell’età attuale, alla loro continuità e sovrapposizione da un lato, e alla loro connessione con gli aspetti e le tendenze globali, dall’altro.
Consideriamo quindi, con uno sguardo attento alla realtà ci porta di fronte alla consapevolezza che il mondo, pur essendo interconnesso, è anche fortemente diversificato e i livelli di realtà sono tra loro molto differenti perché richiamano a saperi, culture, tradizione e memorie che portano a credenze, comportamenti, azioni, interpretazioni che in molti casi generano conflitti la cui comprensione, gestione e trasformazione positiva e costruttiva di benessere, è uno degli dell’educazione alla cittadinanza.
In ultima analisi osserviamo che gli obiettivi dell’ECG, oltre a essere strettamente condivisi e intessuti con quelli dell’Agenda 2030, sono in stretta correlazione con nuove Raccomandazioni UNESCO per l’Educazione alla Pace varate nel novembre del 2023 che integrano la precedente edizione del 1974, con i riferimenti riguardanti la cittadinanza globale e lo sviluppo sostenibile.
Nel concludere questa sintetica riflessione sulle questioni aperte del rapporto tra educazione, globalizzazione e prospettive di pace, riprendiamo alcuni dei punti trattati: favorire ogni forma di condivisione e consapevolezza dei valori fondamentali che garantiscono la vita, il benessere, il miglioramento delle persone qualsiasi sia la loro condizione, luogo di nascita, appartenenza culturale e religiosa, perché ogni condizione di vita del pianeta è espressione di interdipendenza e di affermazione di biodiversità; promuovere la conoscenza dell’umano e della complessità, insita nell’umano stesso, attraverso approcci metodologici e azioni educative concrete, dirette e sul campo, capaci di coinvolgere gli studenti in modo attivo e co-progettuale con un impegno personale per il miglioramento della comunità; fare riferimento a quanto indicato nella ECG e alle Raccomandazioni per l’Educazione alla Pace come criterio di analisi critica per il cambiamento di paradigmi educativi orientati a preparare e promuovere processi di riconciliazione per la trasformazione positiva dei conflitti, la decostruzione della violenza e la fine dei conflitti armati; adottare un approccio transdisciplinare che è totalmente aperto e non condizionato dalle discipline, piuttosto che settoriale e limitato.
Riferimenti bibliografici
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2 M. Ceruti, Il tempo della complessità, Raffaello Cortina, Milano, 2018, p. 141.