di Giorgio Valentino Federici

Le tecnologie digitali possono rendere possibili percorsi positivi nella gestione degli elementi di crescente complessità della crisi ecologica, anche tramite l’uso dell’intelligenza artificiale (IA). Ma la transizione digitale ha un impatto considerevole sul consumo di acqua ed energia, che non viene tenuto nella debita considerazione e che va ad alimentare quelle che vengono definite «emissioni segrete». Emissioni che sono ascrivibili soprattutto ai grandi data center, necessari per gestire una sempre crescente quantità di dati. Avere piena consapevolezza dell’importanza dell’impronta idrica (Water Footprint) è il primo passo per adottare soluzioni di efficienza e normative adeguate ad affrontare un problema di così vasta portata.

 

Speranze e preoccupazioni
Gli impatti della transizione digitale sull’ecosistema sono oggetto di speranze e di preoccupazioni.
Lo straordinario aumento di produttività reso possibile dalle tecnologie digitali può far sperare in percorsi positivi anche per gli ecosistemi. Una migliore gestione della crescente complessità della crisi ecologica potrebbe diventare perseguibile, ad esempio, con l’intelligenza artificiale (IA).
Le preoccupazioni sono numerose e riguardano molti aspetti di tutte le componenti del ciclo produttivo e dell’impiego delle tecnologie digitali. I vantaggi, reali o potenziali, del digitale andrebbero nei settori specifici confrontati con le «emissioni segrete» che dovrebbero essere conosciute e regolamentate (Sissa, 2024).
La gestione razionale ed ottimizzata delle risorse idriche ha trovato e trova nella tecnologia digitale crescenti possibilità. Analogamente per le risorse energetiche l’IA offre strumenti sempre nuovi per la produzione, trasmissione, distribuzione e gestione dei consumi.
Sia per l’acqua che per l’energia è dunque possibile un impatto positivo sulle crisi ambientali permesso dalla rivoluzione digitale, in dipendenza della volontà politica di favorirlo.
Permangono, tuttavia, numerose criticità ambientali da affrontare. In particolare sono oggetto di attenzione da qualche anno gli impatti dovuti ai fabbisogni crescenti di acqua e di energia dei data center. Questo tema, in riferimento all’energia, è trattato in questo numero da Mauro Lombardi e ad esso si rimanda.
Nel seguito si presentano alcuni dati sul rapporto tra acqua e transizione digitale.

Il «tema acqua» e la tecnologia digitale
Le tecnologie digitali stanno rivoluzionando i sistemi di misura e di gestione dell’acqua. Già nei primi anni sessanta del secolo scorso IBM cercava di convincere gli ingegneri ad abbandonare il Regolo Calcolatore (una meraviglia tecnologica in legno e avorio!) e collegarsi per telefono a un IBM 360. Dunque, si poteva già allora (si chiamava Time Sharing) usare a distanza un programma basato sul Metodo di Cross che permetteva di calcolare semplici reti di acquedotto a maglie chiuse. Da decenni la tecnologia digitale aiuta a gestire i sistemi idrici in Europa. Le applicazioni più diffuse includono il monitoraggio in tempo reale dell’uso e della qualità dell’acqua, il rilevamento più rapido delle perdite e l’irrigazione intelligente. Si calcola che circa il 23% dell’acqua nelle reti dell’UE viene persa prima di raggiungere i consumatori. L’adozione di soluzioni digitali potrebbe portare a una riduzione di queste perdite anche del 30%. Inoltre, la tecnologia digitale apporta rilevanti miglioramenti nella gestione e analisi dei dati, grazie al cloud computing, la blockchain e lo sviluppo di «gemelli digitali» nel settore idrico. Dunque, essa offre nuove capacità per analizzare, automatizzare, correggere in tempo reale, prevedere e ridurre al minimo i rischi per l’ambiente naturale, senza tralasciare i vantaggi che comporta se utilizzata per sensibilizzare, coinvolgere i cittadini e i consumatori e influenzare il loro comportamento. Tuttavia, la tecnologia digitale può ripercuotersi in negativo sulle disponibilità di acqua dolce in alcune aree a causa dei data center che utilizzano quotidianamente grandi quantità di acqua per il loro raffreddamento.

La Water Footprint dei data center
L’acqua utilizzata nei data center può essere in parte prelevata e poi restituita all’ambiente, ma una porzione significativa viene effettivamente consumata o dispersa durante il processo di raffreddamento, in particolare nei sistemi di raffreddamento evaporativo. Infatti, esistono due tipi di utilizzo dell’acqua nei data center: il raffreddamento evaporativo. Molti data center usano torri di raffreddamento evaporativo, dove l’acqua viene vaporizzata per dissipare il calore. In questi casi, l’acqua è consumata perché l’evaporazione la rende indisponibile per altri usi. In alcuni casi, fino al 90% dell’acqua utilizzata in questi sistemi può essere consumata attraverso l’evaporazione; il raffreddamento a ciclo chiuso. Alcuni data center utilizzano circuiti chiusi o sistemi di raffreddamento ad aria, che richiedono molta meno acqua.
Anche quando l’acqua viene rilasciata, deve spesso passare attraverso trattamenti per ridurre gli impatti termici, chimici e biologici sull’ecosistema circostante. Le temperature troppo elevate potrebbero disturbare gli habitat acquatici, riducendo l’ossigeno disciolto e influenzando negativamente la fauna locale.
Quindi, anche se una parte dell’acqua può essere restituita all’ambiente, la maggior parte dei data center tradizionali consumano una quantità significativa di acqua nel processo di evaporazione.
Avere piena consapevolezza della propria Impronta Idrica (Water Footprint) è il primo passo per adottare soluzioni di efficienza ed è fondamentale adottare strumenti di misura che rispondano ad elevati standard di sicurezza e affidabilità: flussimetri intelligenti per monitorare il consumo di acqua in tempo reale, rilevatori di perdite d’acqua per individuare rapidamente eventuali inefficienze e ridurre al minimo gli sprechi, sonde per l’analisi della qualità dell’acqua utili ad evitare contaminazioni potenzialmente pericolose per la sicurezza delle apparecchiature e degli operatori.
La Water Footprint misura il consumo totale di acqua associato all’operatività di un data center e comprende: l’acqua per il raffreddamento, la parte più significativa del consumo di acqua. Esso dipende da vari fattori come il design del centro, la tecnologia di raffreddamento utilizzata, e il clima della regione; l’acqua per la produzione di energia. Infatti, l’energia utilizzata per alimentare i data center spesso richiede acqua per la generazione, specialmente se proviene da centrali termoelettriche che utilizzano acqua per il raffreddamento delle turbine. Questo consumo di acqua è parte dell’impronta idrica indiretta.
L’indicatore principale del Water Footprint è costituito dai litri per kilowattora (L/kWh): ovvero la misura dell’acqua consumata per ogni kilowattora di energia utilizzata dal data center. Questa indicazione include sia l’acqua usata direttamente che quella necessaria per produrre l’energia consumata.
I valori dell’indicatore dipendono dalla tecnologia utilizzata: le torri di raffreddamento evaporativo tradizionali hanno un consumo medio, tra 1 e 2 L/kWh; i data center con tecnologie più efficienti (come il raffreddamento ad aria o sistemi chiusi a ciclo combinato) hanno un consumo ridotto a 0,1-0,5 L/kWh; i data center iper-efficienti o basati su energia rinnovabile possono ridurre il consumo d’acqua vicino allo 0 L/kWh, specialmente se situati in regioni dove non è necessario il raffreddamento attivo.
Da rilevare che le Big Tech promettono di diventare sostenibili nei consumi di acqua: Google, Amazon e Microsoft stanno lavorando per eliminare completamente l’uso di acqua potabile nei loro data center, con l’obiettivo di utilizzare acqua piovana, acque grigie o altre fonti non potabili. Microsoft ha dichiarato di voler diventare, entro il 2030, Water positive, vale a dire produrre più acqua di quanta prelevata dalla natura.

Il consumo di acqua di una chatbot
Il consumo d’acqua per un chatbot come ChatGPT o altri simili dipende dal consumo energetico dell’infrastruttura (data center) e dal consumo medio d’acqua per kilowattora (L/kWh). Una stima approssimativa basata su informazioni disponibili in rete offre i seguenti dati: il consumo energetico medio per una query è di circa 0,3-2 wattora (Wh) per un modello linguistico grande; il consumo energetico per 100 query, assumendo un valore medio di 1 Wh per domanda, sarebbe di circa 100 Wh, equivalenti a 0,1 kWh (1 kWh = 1000 Wh).
Il Consumo d’acqua associato, usando dati medi di consumo idrico per data center, sarebbe: con le torri di raffreddamento tradizionali di 1-2 L/kWh → Per 0,1 kWh → 0,1-0,2 litri d’acqua; con le tecnologie efficienti di 0,1-0,5 L/kWh → Per 0,1 kWh → 0,01-0,05 litri d’acqua.
La stima finale per 100 query a ChatGPT o un chatbot analogo dà un consumo medio d’acqua di 0,01-0,2 litri, a seconda dell’efficienza del data center e del sistema di raffreddamento utilizzato.
Nel preparare questa nota ChatGPT è stata interrogata circa 50 volte con un consumo di 0,005-0,1 litri d’acqua.

La situazione in Europa
Una stima del consumo attuale e futuro di acqua per i servizi di dati digitali in Europa dal 2022 al 2030 è riportata in un recente rapporto (Farfan, 2023). La proiezione considera le tendenze europee per quanto riguarda la popolazione, il consumo dei servizi di dati, lo sviluppo tecnologico, la trasmissione dei dati e il consumo di energia, tra gli altri fattori. I risultati dimostrano che nel 2030 in Europa verranno consumati da 273,4 a 820,1 milioni di metri cubi di acqua e da 56,3 a 169 terawattora di elettricità all’anno per l’utilizzo di Internet.
Si prevede, quindi, che la crescita dell’utilizzo dei dati causerà un aumento dell’utilizzo di energia e di acqua da parte dei data center e che il consumo annuo stimato di energia per l’utilizzo dei dati aumenterà dal livello medio di 29,8 TWh nel 2020 fino a circa 112,7 TWh entro il 2030, con valori pro capite stimati in aumento dalla media del 2020 di 54,9 kWh a 226 kWh entro il 2030.
Allo stesso modo, si prevede che il consumo annuo di acqua aumenterà dalla stima del 2020 da 145,2 a 546,7 milioni di metri cubi entro il 2030. In valori pro capite, la previsione indica che il consumo annuo di acqua per l’utilizzo dei dati aumenterà dalla stima del 2020 di 0,29 metri cubi a circa 1,1 metri cubi entro il 2030. Se la media stimata di 1,1 metri cubi pro capite all’anno diventa realtà, il consumo giornaliero di acqua per l’utilizzo dei dati diventa di circa 3 litri al giorno, il che significherebbe che l’europeo medio utilizzerebbe più acqua per Internet di quanta ne serve per bere.
Queste stime devono indurre a misurare e controllare con una normativa stringente i consumi di acqua dei data center, normativa peraltro già in parte presente in alcune indicazioni dell’Unione europea e nazionali, senza nulla togliere al fatto che la rivoluzione digitale ha già permesso e potrebbe permettere in misura sempre maggiore di migliorare la gestione dell’acqua, come risorsa e come pericolo, e con essa la vita degli ecosistemi.

ChatGPT (Chat Generative Pre-trained Transformer), OpenAI, Novembre 2024.

  1. Farfan, A. Lohrmann, Gone with the clouds: Estimating the electricity and water footprint of digital data services in Europe, Energy Conversion and Management (2023), ELSEVIER.
  2. Sissa, Le emissioni segrete, Il Mulino, Bologna 2024.