di Chiara Agnoletti
Parlare di disagio abitativo, oggi, implica prendere in considerazione una vasta gamma di variabili che comprendono il cambiamento della realtà demografica, la riorganizzazione delle città, il ruolo della politica nella pianificazione urbanistica. Il dato preoccupante è che una fascia sempre più vasta della popolazione ha problemi di alloggio: problemi correlati strettamente alla condizione di povertà di cui il disagio abitativo è allo stesso tempo conseguenza e causa.
Un concetto ampio
Parlare di disagio abitativo oggi, significa fare riferimento a un concetto molto ampio che va dal problema casa inteso come diritto di soddisfazione di un bisogno primario degli individui, alle condizioni di degrado che affliggono alcuni contesti urbani, sia nelle periferie delle città che nelle aree più centrali. Le forme di disagio abitativo, parallelamente alle evoluzioni demografiche ed economiche che hanno interessato il nostro Paese, si sono nel tempo moltiplicate rendendo, specie per alcuni segmenti di popolazione, sempre più complesso l’accesso all’abitazione. L’effetto prodotto se da un lato ha allargato la platea dei soggetti che mostrano difficoltà crescenti ad accedere alla casa, dall’altro ha diversificato le forme di disagio non più relegabili alle sole difficoltà di acquisto. I bisogni abitativi, infatti, sono oggi molto più eterogenei e variabili nel tempo, in funzione dei percorsi di vita degli individui, e nello spazio, tanto da interessare anche le aree considerate, da altri punti di vista, come le più forti. Accanto a questo è utile ricordare come oggi più che mai il disagio abitativo sia legato a doppio filo alla condizione di povertà degli individui e delle famiglie, tanto è che maggiore è la vulnerabilità economica di questi soggetti maggiore è la probabilità che si concentrino nello stesso contesto familiare le diverse forme di criticità legate alla casa. Il disagio abitativo, l’abbiamo già detto, è un concetto ampio che include oltre alle più ovvie difficoltà legate all’acquisto o all’affitto dell’abitazione, da parte di famiglie, coppie giovani, studenti, anziani, ecc. anche le difficoltà connesse al sostentamento delle spese per l’abitazione. Primo tra tutti il costo per il riscaldamento dell’alloggio ma anche, in una accezione più ampia, la mancanza di servizi essenziali in alcuni contesti territoriali, come nelle periferie delle grandi città. Alle problematicità legate al reperimento sul mercato di un alloggio, sia per l’acquisto che per l’affitto, le famiglie hanno fatto fronte ricorrendo a soluzioni sub-ottimali che vanno dalla scelta di abitazioni sottodimensionate rispetto alle proprie esigenze, ad alloggi non adeguatamente mantenuti nel tempo, a localizzazioni molto periferiche oppure ancora all’eccessivo indebitamento. In generale comunque, possiamo individuare nello squilibrio tra risorse disponibili e costi legati all’abitazione, siano essi di acquisto/affitto siano essi di manutenzione, l’origine delle diverse forme di disagio abitativo. È proprio in conseguenza dell’acuirsi di questo squilibrio che le famiglie scivolano sempre più frequentemente da una condizione di vulnerabilità a quella di povertà vera e propria.
Difficoltà di accesso alla casa e overtourism
D’altra parte, il costo dell’abitazione è diventato oggi una voce rilevante rispetto ai redditi percepiti, con differenze talvolta significative a livello regionale. Non stupisce che la Toscana sia tra le regioni con la più alta incidenza sui redditi familiari, risentendo del livello dei prezzi delle abitazioni tra i più elevati a livello italiano e con la varianza interna tra più le più basse. È evidente quindi come il disagio abitativo sia, specie in Toscana, fortemente interconnesso con la povertà delle famiglie (siano esse a basso reddito o a bassa patrimonializzazione come i giovani) e quindi anche con le dinamiche che interessano il mercato del lavoro. Infatti, il contesto economico di fondo in cui questi fenomeni si sono radicati e amplificati è quello di una crescita bassa che si è riflessa sui redditi, riducendo significativamente il potere d’acquisto delle famiglie.
È cresciuta anche la diseguaglianza, anche quella intergenerazionale che vede infatti tra i giovani crescere la quota di relativamente poveri, risentendo più di altri segmenti di popolazione della vulnerabilità del lavoro, mentre mostrano una maggiore tenuta gli over 65, maggiormente garantiti in termini di continuità delle entrate. Il disagio abitativo inteso sia come condizione di sovraffollamento che, come sforzo economico, è dimostrato come sia maggiore per coloro che sono nel primo quinto dei redditi (più poveri) e in particolare tra i giovani, gli stranieri, i disoccupati e gli inattivi. In altre parole, la vulnerabilità da lavoro e la bassa patrimonializzazione espongono gli individui a una condizione di particolare fragilità rispetto ai temi dell’abitare. Le difficoltà di accesso alla casa, nel tempo, sono cresciute in particolare in quei contesti dove si sono moltiplicate le forme di domanda di alloggi dovute alla presenza di popolazione non residente, tipicamente turistica. In questi contesti specie se interessati dal cosiddetto overtourism è progressivamente cresciuta la conflittualità con la residenza stabile, in particolare nelle aree centrali delle città. Da un lato infatti l’ampliamento della domanda, specie se disposta a sostenere anche costi elevati ha determinato un aumento dei prezzi che ha riguardato sia il segmento degli affitti che, nel lungo periodo, anche quello delle compravendite. Dall’altro il tessuto economico si è adattato a una domanda di tipo turistico favorendo la scomparsa di quelle attività tipicamente a servizio della residenza stabile in favore della popolazione turistica. È chiaro che l’innesco di questo processo, insieme alle scelte di delocalizzazione di alcune funzioni in aree più periferiche, se da un lato ha prodotto la cosiddetta desertificazione di una parte del tessuto commerciale delle città, dall’altro ha favorito l’uscita della popolazione dalle aree più centrali in cerca di un rapporto più soddisfacente tra qualità e costo dell’abitare. La carenza di servizi che era tipicamente una delle caratteristiche delle periferie oggi riguarda, secondo una prospettiva ribaltata, molte aree centrali. Abbiamo infatti assistito ad un forte riorientamento delle economie urbane sostenuto dalla presenza di rendite che hanno portato alla diffusione di modelli consumistici basati su logiche estrattive. È in questo contesto più ampio, di trasformazione e di crisi al contempo delle tradizionali economie urbane, che dobbiamo collocare la questione abitativa, specie se riferita alle zone più centrali delle città.
La crisi delle città
Tuttavia, occorre comunque riconoscere che le città, nonostante tutto, continuano a essere il luogo più attrattivo da molti punti di vista perché è qui che c’è la maggiore offerta di lavoro, specie di quello qualificato, è qui che si produce innovazione. Infatti, nonostante i cambiamenti intercorsi e a fronte di un rinnovato concetto di prossimità, le città continuano a essere attrattive e motori di sviluppo. Ma è altrettanto vero che non tutte le nostre città riescono a reggere il confronto internazionale e vedono gradualmente ridimensionare il loro ruolo competitivo e la loro capacità di traino di regioni più vaste anche perché eccessivamente adagiate sulle logiche ricordate. Per tale ragione, il disagio abitativo va collocato all’interno di questa prospettiva più ampia che considera le criticità legate all’accesso all’abitazione come parte di una più ampia crisi delle città. Non si tratta di ridimensionare o di contingentare l’attrattività delle città, luogo di socialità e opportunità per eccellenza, ma di riorientarla facilitandone l’accesso a coloro che hanno più difficoltà e che contribuiscono maggiormente al loro dinamismo, come i giovani. Parallelamente, le spinte centrifughe dalla città di popolazione e attività possono produrre ricadute positive sul resto del territorio. Una diversa distribuzione della popolazione potrebbe infatti portare benefici in termini di maggiore equilibrio anche per quelle aree che soffrono del problema opposto e in cui la crisi abitativa prende la forma dello spopolamento e dell’abbandono. L’ennesimo volto del disagio abitativo.
Di fronte al moltiplicarsi delle forme di criticità e parallelamente alle evoluzioni che hanno interessato le difficoltà legate all’utilizzo del bene casa, le politiche pubbliche hanno mostrato crescenti limiti. Se da un lato dobbiamo evidenziare il loro tentativo di adeguarsi a tali cambiamenti dall’altro occorre, altrettanto francamente, constatare il ruolo subalterno che le questioni abitative via via hanno assunto nelle agende politiche, specie di rango nazionale.
Il ruolo della politica
Le linee principali di azione perseguite nel sistema di tutela del diritto all’abitazione fino ad oggi hanno riguardato da un lato la fornitura di un alloggio pubblico (l’ERP), dall’altro il sostegno economico per favorire l’accesso all’abitazione in locazione. Sia che si tratti di strumenti di welfare «in natura» sia che si tratti di strumenti finanziari, il loro utilizzo nel tempo ha mostrato molteplici limiti. Non si tratta tanto di una questione di come sono tagliate le politiche rispetto alla platea dei potenziali beneficiari ma piuttosto di quanto bisogno riescono a soddisfare. E questa loro scarsa capacità di copertura è figlia della ridottissima capacità finanziaria riservata a queste politiche. Ricordiamo infatti che la prima forma di supporto (ERP), sviluppata in concomitanza alla fase espansiva delle nostre città, non ha più da vari decenni il suo specifico canale di finanziamento (fondi GESCAL); l’altra, il contributo affitto, è ad oggi affidata esclusivamente allo sforzo economico di regioni e comuni i quali, senza il supporto nazionale, riescono a coprire solo una parte limitata del fabbisogno. Dobbiamo poi prendere atto che il contesto è profondamente mutato non solo come ho ricordato, in termini di bisogni espressi della popolazione ma anche guardando alle occasioni di trasformazione delle nostre città. Superata la fase espansiva e facendo i conti con il principio del consumo di suolo zero, i contesti urbani si trovano oggi a confrontarsi con il recupero del patrimonio esistente e la rigenerazione urbana e quindi con leve economiche e meccanismi di estrazione del capital gain completamente diversi.
Meccanismi che l’urbanistica contemporanea dovrebbe sfruttare più efficacemente ricollocando, lei per prima, la casa al centro dei propri interessi. In altre parole, le politiche abitative hanno bisogno prima di tutto di tornare ad essere un ambito di esercizio della politica, questo significa ricollocarle adeguatamente nelle agende ai vari livelli, ripensarne la governance, riconoscerne la natura fortemente intersettoriale e dotarle di adeguate risorse. Ma anche considerare il disagio abitativo come parte di una crisi più ampia delle città e dei suoi strumenti di estrazione delle rendite, da adeguare più efficacemente ai mille volti in cui il disagio può manifestarsi. Solo così potremmo sostenere che la casa è davvero «salva».