di Giorgio Valentino Federici

 

Una riflessione su nazionalismo, multiculturalismo e cosmopolitismo a partire da un testo che George Orwell pubblicò nel 1945 sulla rivista «Polemic: A Magazine of Philosophy, Psychology & Aesthetics», dal titolo Notes on Nationalism, pubblicato in Italia nel 2021. Le considerazioni di Orwell, riferite al sentimento nazionalista degli intellettuali inglesi del suo tempo, possono essere utilmente riprese, per analogia, nell’analisi critica di un certo modo di guardare ai problemi della nostra epoca. Soltanto una visione di tipo cosmopolitico e «planetaria» della realtà contemporanea può salvare l’uomo dalle spinte nazionalistiche e autodistruttive da cui è continuamente tentato.

 

Il patriota e il nazionalista
Nell’ottobre del 1945 George Orwell pubblica sulla rivista «Polemic: A Magazine of Philosophy, Psychology & Aesthetics» l’articolo Notes on Nationalism.
La casa editrice Penguin Books lo pubblica subito dopo in un libro. Solo nel 2021 è stato tradotto in italiano (Orwell, 2021) e questo potrebbe spiegare i pochi riferimenti ad esso nel nostro dibattito politico.
Il libro ha un obiettivo limitato: analizzare il sentimento nazionalista degli intellettuali inglesi durante la Seconda Guerra mondiale.
Mi è sembrato che questo approccio «sentimentale» al nazionalismo possa essere di qualche utilità per cercare di capire gli atteggiamenti attuali degli intellettuali occidentali e in particolare di quelli delle università in riferimento alle guerre e al multiculturalismo.
Orwell sottolinea come posizioni critiche o manifestamente antioccidentali degli intellettuali inglesi e occidentali fossero diffuse prima e durante la Seconda Guerra mondiale.
Il periodo che stiamo vivendo dopo l’aggressione russa all’Ucraina sembra avere punti di contatto con il 1938. Dunque, il libro di Orwell può assumere oggi un particolare interesse.
Il «Nazionalismo» per Orwell è un sentimento che può essere riferito sia alle nazioni che a un’etnia o a un’area geografica, a una chiesa o a una classe sociale.
«Con “nazionalismo” intendo innanzitutto l’abitudine a credere che gli esseri umani possano essere classificati come insetti e che interi gruppi di milioni o decine di milioni di individui possano essere tranquillamente etichettati come “buoni” o “cattivi” a seconda della loro identità o appartenenza. In secondo luogo – e questo è assai più importante – intendo l’inclinazione a identificare se stessi con una singola nazione o altra entità unitaria, elevandola al di là del bene e del male e ponendo i suoi interessi al di sopra di ogni altra cosa. Il nazionalismo non va confuso con il patriottismo. (…) Con “patriottismo” intendo l’attaccamento a uno specifico luogo e a uno specifico stile di vita, che si può ritenere essere il migliore al mondo, ma senza perciò voler forzare le altre persone a seguirlo. (…) Il patriottismo è per sua natura difensivo, militarmente e culturalmente. Il nazionalismo, al contrario, è strettamente legato alla brama di potere» (Orwell, 2021).
Secondo Orwell il pensiero nazionalistico è ossessivo, instabile e indifferente alla realtà. Riguarda (siamo nel 1945!) movimenti e orientamenti come il comunismo, il cattolicesimo politico, il sionismo, l’antisemitismo, il trotskismo e il pacifismo.
Può essere sommariamente classificato nelle tre categorie di Nazionalismo Positivo, Negativo o Trasposto (Transferred Nationalism – Nazionalismo Trasferito).
Orwell considera positivi i nazionalismi non aggressivi verso altri ma patriottici, rivolti alla utilità della propria parte. Il Nazionalismo Positivo è ad esempio quello Celtico (l’irlandese, il gallese) che sono diversi dall’anglofobia considerata Nazionalismo Negativo.
Ai fini di questa nota è quello Trasposto il sentimento nazionalistico più interessante: Orwell suggerisce infatti che i sentimenti nazionalistici possono essere trasferiti a un Paese diverso dal proprio.
«Nelle società come la nostra, è insolito che un qualunque sedicente intellettuale provi un attaccamento profondo verso il proprio Paese. L’opinione pubblica o, meglio, quella parte di opinione pubblica di cui un intellettuale è al corrente – non glielo permetterebbe. La maggior parte delle persone che lo circondano sono scettiche e disilluse, e così anch’egli adotta lo stesso atteggiamento per imitazione o per mera codardia: in tal caso, avrà abbandonato la forma di nazionalismo più a portata di mano senza comunque sviluppare uno sguardo, o più spesso provengono da regioni periferiche la cui appartenenza nazionale è dubbia. Ne sono alcuni esempi Stalin, Hitler, Napoleone, de Valera, Disraeli, Poincaré, Beaverbrook. Il movimento pangermanico fu in parte creato da un inglese, Houston Chamberlain» (Orwell, 2021).

Sul pacifismo
Esempi di Nazionalismo Trasposto secondo Orwell sono il Comunismo, il Cattolicesimo politico, il Razzismo, il Classismo, il Pacifismo. In particolare, le considerazioni di Orwell sul pacifismo come Nazionalismo Trasposto mi sembrano di stupefacente attualità.
«La maggior parte dei pacifisti appartengono a oscure sette religiose o sono semplicemente degli altruisti che si oppongono alla soppressione della vita e preferiscono non proseguire oltre quel punto nelle loro riflessioni. Ma c’è una minoranza di intellettuali pacifisti le cui reali e tacite motivazioni sono il disprezzo della democrazia occidentale e l’ammirazione del totalitarismo. L’abituale propaganda pacifista afferma in sostanza che gli opposti schieramenti sono ugualmente cattivi, ma se si leggono più attentamente gli scritti degli intellettuali pacifisti più giovani, si scopre che non esprimono affatto una condanna imparziale, ma rivolta quasi interamente contro l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Inoltre, non condannano per principio la violenza in quanto tale, ma solo quella esercitata in difesa dei paesi occidentali. I russi, al contrario dei britannici, non vengono biasimati per essersi difesi combattendo, e a ben vedere tutta la propaganda di questa specie evita ogni riferimento alla Russia o alla Cina. Non viene mai sostenuto, ancora, che gli indiani dovrebbero abiurare la violenza nella loro lotta contro gli inglesi. La letteratura pacifista è piena di osservazioni equivoche che, se vogliono dire qualcosa, sembrano voler dire che gli statisti del genere di Hitler siano preferibili a quelli del genere di Churchill, e che la violenza sia giustificabile se sufficientemente violenta. In seguito alla caduta della Francia, i pacifisti francesi, posti di fronte a una vera scelta che i loro colleghi inglesi non hanno dovuto compiere, sono perlopiù passati al nemico nazista. (…) Tutto considerato, è difficile non sospettare che il pacifismo, per come si manifesta presso una certa fetta di intellettuali, sia tacitamente ispirato da un’ammirazione del potere e della crudeltà finalizzata. L’errore è stato commesso nell’allacciare questo sentimento a Hitler, ma può sempre essere facilmente ritrasposto» (Orwell, 2021).

Quando il multiculturalismo è un’idea conservatrice
Anche nel dibattito internazionale non ho trovato riferimenti significativi al libro di Orwell, con l’eccezione di due libri di Göran Adamson, un altro «liberale di sinistra» come è considerato Orwell. Egli cita ampiamente Orwell nel suo primo libro in cui si critica l’approccio delle università svedesi alla diversità e al multiculturalismo (A Troian Horse. A Leftist Critique of Multiculturalism in the West, Adamson, 2017). Nel suo secondo libro (Adamson, 2021), Adamson propone la definizione di «Nazionalista Masochista» (o «Nazionalismo Autocritico») con riferimento alle posizioni antioccidentali di molti appartenenti alla «Sinistra», mantenendo per la «Destra» il concetto tradizionale di Nazionalismo Sovranista (Adamson, 2021).
Secondo Adamson il Nazionalismo Masochista o Nazionalismo Autocritico è un sentimento assai diffuso nella sinistra non liberale che, negli ultimi anni, ha abbracciato l’esaltazione della diversità e il multiculturalismo. Egli lo collega al Nazionalismo Trasposto che Orwell attribuiva agli intellettuali inglesi.
L’esaltazione della diversità accomuna, per fini diversi ma che si alimentano reciprocamente, la Sinistra Masochista/Autocritica alla Destra Nazionalista. Alla Destra l’esaltazione serve a giustificare la necessità di separare i diversi per conservare la propria cultura o il proprio reddito o quant’altro. La Sinistra cerca di favorire i deboli, gli svantaggiati e i perseguitati, ma, esaltando acriticamente il multiculturalismo, rischia di rinchiudere gli individui di una etnia in una logica di gruppo, indebolendo il modello liberale di difesa della libertà individuale.
Nella prefazione del libro A Troian Horse, Adamson scrive: «Il multiculturalismo è un’idea conservatrice, che è vista come progressista. Il multiculturalismo e la diversità riguardano il background, l’etnia, l’appartenenza, i portavoce e le radici. Chi parla di radici parla di un idillio del passato, di un Eldorado storico in contrapposizione al suffragio universale, al progresso tecnologico e a tutto ciò che appartiene alla società moderna. (…) Le critiche contro la diversità, ci viene detto, vengono dalla destra. Questo libro assume la posizione opposta. Le critiche convincenti contro la diversità provengono sempre da una prospettiva di sinistra, da coloro che sostengono la meritocrazia invece dei diritti di gruppo, la maggioranza e la democrazia invece dell’adorazione delle minoranze, l’uguaglianza tra uomini e donne invece del patriarcato, lo stato di diritto invece della “legislazione sulle minoranze”, la scienza invece della fede, il dibattito invece della censura, la modernità e la beatitudine dell’oblio invece dell’ossessione per l’ingiustizia storica. (…) Inoltre, l’ideologia della diversità mostra numerose somiglianze con il neoliberismo. Il neoliberismo trae profitto dalla diversità, e la diversità è utile ai neoliberisti. L’establishment svedese ha permesso a un Cavallo di Troia di entrare in mezzo a lui» (Adamson, 2017).
A queste conclusioni Adamson arriva dopo aver analizzato i risultati del progetto del Governo svedese Diversity at the University di finanziamento alle università per la promozione delle diversità nei percorsi accademici. La sua preoccupazione è che la giustizia (o l’ingiustizia) strutturale possa produrre benefici o svantaggi a gruppi che contraddicono la missione stessa dell’Università. Le università devono promuovere libertà ed eguaglianza agli individui e non ai gruppi.
Come risultato del modello di giustizia strutturale, l’identità di gruppo è vista come più importante della scelta individuale. A causa dell’ideologia della diversità, criticare i gruppi minoritari già percepiti come vulnerabili è considerato improprio.
Se alle università viene chiesto di affermare il valore della diversità nel reclutamento degli studenti il suo ruolo viene messo in discussione. Come risultato di un’idealizzazione dei gruppi vulnerabili si sono abbandonati gli individui dissenzienti all’interno di questi gruppi. È utile confrontare le posizioni di Adamson con quelle di Kenan Malik nel libro Il multiculturalismo e i suoi critici. Ripensare la diversità dopo l’11 settembre del 2016.
«Ciò che impressiona è che molti degli argomenti dei critici di destra al multiculturalismo, i quali si rifanno alla tesi dello scontro di civiltà, sono simili a quelli dei sostenitori del multiculturalismo. (…) Dietro l’ostilità, comunque, i due schieramenti condividono i presupposti di fondo sulla natura della cultura, dell’identità e della differenza. Entrambi considerano le divisioni sociali principali come frutto di una matrice culturale o di civiltà. Entrambi vedono le culture, o le civiltà, come entità omogenee. Entrambi insistono sull’importanza cruciale dell’identità culturale e sulla preservazione di questa identità. Entrambi percepiscono come irrisolvibili i conflitti che emergono da valori non negoziabili» (Malik, 2016).
Secondo Malik la diversità non è importante in sé e per sé, ma perché ci consente di evadere dalle nostre gabbie fatte di culture, intavolando dialoghi e dibattiti, mettendo alla prova valori, credenze e stili di vita differenti. Gli inevitabili scontri fra i vari punti di vista devono essere affrontati e non evitati, nella prospettiva di un confronto che deve essere finalizzato al rinnovamento sociale.

Sta nel cosmopolitismo il futuro del genere umano?
Nel dibattito attuale sulla pace e sulle guerre mi sembra carente se non assente l’indicazione di un percorso che possa concretamente far sperare in una riduzione dei conflitti. Manca qualsiasi riferimento alla prospettiva cosmopolitica per il genere umano, all’Uomo planetario di Ernesto Balducci.
Il Cosmopolitismo indica come necessità e dovere dell’uomo quella di essere cittadino del mondo, superando le differenze sociali e politiche fra gli stati e le nazioni.
Che altra soluzione ci può essere se non il Cosmopolitismo per il futuro genere umano nell’Antropocene? (Montani, 2022). Secondo i federalisti gli stati nazionali (o gli imperi) non sono l’unica possibilità di organizzare gli umani. Il nazionalismo nasce allorché lo Stato, affrancatosi dal potere esercitato prima dalla Chiesa e/o dall’Impero, resosi dunque «sovrano assoluto» (principio di Westfalia), ha il bisogno di fondare la propria legittimazione su una nuova entità: la nazione. Un fatto storico che emerge prepotentemente con la rivoluzione francese e che trasforma, di colpo, i sudditi del re, che un tempo definivano alsaziani, bretoni, occitani e via di seguito, in «francesi». Prima andavano a combattere e morire per il re, con la rivoluzione andranno a combattere e morire per la «nazione francese». Il nazionalismo è, dunque, l’ideologia dello Stato nazionale burocratico e accentrato (Albertini, 1997).
Il processo di unificazione dell’Europa è la prova che è possibile aggregare stati e nazioni che si erano fatti la guerra per secoli in un reale miglioramento non solo della convivenza pacifica ma di sviluppo economico-sociale e dei diritti umani.
Malgrado che il modello vincente del processo di unificazione europea, descritto in questo numero da Antonio Longo, indichi una via percorsa e percorribile di costruzione cosmopolitica, esso viene sottovalutato nella sua novità e potenzialità. Contrari al processo di unificazione europea non sono solo i sovranisti ma, paradossalmente, anche gli esaltatori del multiculturalismo, autocritici con la «Patria Europea». Il patriottismo europeo non potrà diventare nazionalismo proprio a causa del modo in cui il processo di costruzione europea si sta sviluppando. Il modello federale bilancia il potere degli stati con quello del governo sovrannazionale, determinando così il rispetto delle nazioni e delle culture europee.
Le grandi e piccole potenze, statali, economiche e religiose, non sembrano farsi convincere dai rischi legati alla loro crescente aggressività.
La Pace e il Cosmopolitismo poterebbero essere imposti dalla Natura, da rischi come quello climatico e ambientale che potrebbero condurre gli umani a collaborare a partire da rischi e benefici condivisi. La mitigazione del riscaldamento del pianeta può essere solo un obiettivo comune attraverso il controllo delle emissioni dei gas serra. Le misure di adattamento al riscaldamento globale potrebbero invece generare conflitti ancora più catastrofici se affrontate in una logica nazionalista. Intanto il cambiamento climatico provoca conflitti. Le conseguenze della siccità in Siria del 2006-2009 sono state considerate una delle cause principali della guerra civile. Un rapporto dell’Imperial College (F. Otto Et al, 2023) con analisi accurate attribuisce al cambiamento climatico la siccità di inizio secolo e prevede per tutto il Medio Oriente un futuro climatico catastrofico.
La proposta accennata da Longo di una «Comunità economica mediorientale per l’acqua e l’energia» tra Israele, Giordania ed altri paesi disponibili potrebbe far iniziare un percorso analogo a quello della CECA – Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio – che fu il primo passo verso la pace fra gli europei e la loro prosperità. La Federazione Europea potrebbe, sulla base della sua esperienza, accompagnare questo processo di collaborazione.
La ricerca scientifica e quella tecnologica se condivise possono consentirci di affrontare le crisi ambientali e la transizione energetica. Tommaso Pacetti in questo numero indica come sia possibile pensare di affrontare, collaborando, le crisi idriche e ambientali, che possono così diventare processi di condivisione e di costruzione di rapporti pacifici e non conflittuali.
Luciano Ipsaro Palesi e Paola Zamperlin affrontano invece il tema dell’Intelligenza Artificiale evidenziandone i rischi, le potenzialità e i conflitti in corso.
È da rilevare come l’Unione Europea stia già svolgendo un ruolo positivo riconosciuto a livello internazionale di leadership sulle questioni climatiche e anche sul controllo dell’Intelligenza Artificiale, come dimostrano i risultati, sia pure modesti, della conferenza sul clima di Dubai del 2023 e il regolamento sull’Intelligenza Artificiale da poco approvato dall’Unione.
L’approccio federalista che ha permesso di arrivare alla pace in Europa viene spesso dimenticato e considerato come un sogno il suo completamento con gli Stati Uniti d’Europa.
E invece è il Federalismo la speranza di battere il nazionalismo degli stati, delle organizzazioni e delle persone permettendo un atteggiamento patriottico ma non aggressivo alle comunità e alle nazioni.
Anche George Orwell credeva nella Federazione Europea: «Altiero Spinelli a Parigi, in un’Europa ormai liberata, organizzò nel marzo del 1945 una conferenza con Albert Camus, Emmanuel Mounier, André Philip, George Orwell e altri, nella quale si approvò un Comitato provvisorio per la Federazione europea» (Spinelli, 2023, dalla Prefazione di Guido Montani).

 

Riferimenti bibliografici
Adamson, The Trojan Horse: A Leftist Critique of Multiculturalism in the West, Post-Diversity Press, 2017.
Adamson, Masochistic Nationalism: Multicultural Self-Hatred and the Infatuation with the Exotic, Routledge Studies in Political Sociology, 2021.
Albertini, Lo Stato nazionale, Il Mulino, Bologna 1997.
A. Ipsaro Palesi, P. Zamperlin, Intelligenza artificiale: generatrice e (o) risolutrice di conflitti?, «Testimonianze», nn. 555-556, 2024, p. 68.
Longo, Un nuovo ordine mondiale per dare una chance alla pace, «Testimonianze», nn. 555-556, 2024, p. 41.
Malik, Il multiculturalismo e i suoi critici. Ripensare la diversità dopo l’11 settembre, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti – UAAR, 2016.
Montani, Antropocene, Nazionalismo e Cosmopolitismo – Prospettive per i cittadini del Mondo, Mimesis, 2022.
Orwell, Sul nazionalismo, Il Gulliver, 2021.
Otto et al., Human-induced climate change compounded bysocio-economic water stressors increased severity of drought in Syria, Iraq and Iran, Imperial College, 2023.
Pacetti, Acqua per la prosperità e per la pace, «Testimonianze», nn. 555-556, 2024, p. 62.
Spinelli, La mia battaglia per un’Europa diversa, a cura di Guido Montani, Edizioni Società Aperta, 2023.