di Severino Saccardi
Nel percorso esistenziale e culturale di Ernesto Balducci c’è un elemento di fondo che risalta: è il legame (molto forte) fra memoria delle radici e apertura all’universale e al tentativo di leggere, in maniera preveggente, le incerte linee del domani. Quel mondo del terzo millennio, aperto alle potenzialità dell’inedito, ma gravato anche da mille contraddizioni, per analizzare le quali le riflessioni di Balducci sull’«uscita della guerra dall’ambito della razionalità» e sulla lunga marcia dei diritti umani (che postula, ad essere conseguenti, una stretta connessione fra pace e giustizia) appaiono di singolare attualità.
Terzo millennio
È un anno di ricorrenze, il 2022. Qui siamo a ricordare il centenario della nascita di Ernesto Balducci. Ma c’è anche il centenario di Pier Paolo Pasolini. E quello di Enrico Berlinguer. Di Balducci ricorre anche il trentesimo anniversario della scomparsa. Sono anche trenta anni che se ne è andato (poco prima del fondatore di «Testimonianze») il prete-poeta David Maria Turoldo. Nello stesso anno si era spenta anche la voce di una grande scrittrice e poetessa, di origine toscana, come Margherita Guidacci1. Sono occasioni per rivisitare figure e periodi importanti della nostra storia.
Naturalmente, possiamo dire che sembra quasi, dolorosamente, paradossale trovarsi a ricordare un uomo e maestro di pace come Ernesto Balducci in un contesto come quello attuate. Segnato da tensioni e drammatiche emergenze. Con il pianeta intero gravato dal peso e dalle conseguenze dei cambiamenti climatici.
Con una pandemia tuttora in corso e, al momento non definitivamente domata. E con una devastante guerra di aggressione che, dallo scorso 24 febbraio, minaccia di scardinare l’equilibrio delle nazioni europee e sta incendiando le relazioni internazionali (oltre a disseminare l’Ucraina di devastazioni e lutti). D’altra parte, è vero che l’autore de L’uomo planetario e de La Terra del tramonto aveva intuito, con preveggenza, la complessità dell’epoca che si andava aprendo.
Un suo volume è intitolato Terzo millennio. Il sottotitolo è: Saggio sulla situazione apocalittica. Al suo pensiero anticipatore è dedicato questo fascicolo speciale e monografico della rivista.
I suoi temi sono quelli sottolineati anche nelle manifestazioni a lui dedicate. Come il Convegno (dello scorso 9 aprile e del 18 e 19 maggio) su L’incerto destino dell’«uomo planetario». Il suo percorso, e il suo profilo, sono assai particolari.
Un piccolo mondo
Come è stato ricordato a Santa Fiora, terra delle sue radici, lo scorso 25 Aprile (anniversario della sua scomparsa, ma anche giorno dedicato al ricordo della Liberazione), Ernesto Balducci viene, dopo tutto, da un piccolo mondo. Da un villaggio di minatori del Monte Amiata, situato in quella che era la zona più povera (il versante Sud) della Toscana.
Di quell’ambiente e di quella realtà, fin da piccolo, egli ha vissuto i disagi, le sofferenze e gli stenti. Ma ha anche respirato, e assimilato, la cultura (che così ha da essere definita anche quando è espressa da illetterati) di un popolo (quello della sua «montagna incantata») in cui non erano spente, nonostante tutto, la vitalità e l’allegria sorrette dalla speranza in un domani più giusto, più libero, aperto a più ampi orizzonti.
Di questo ci parlano, con sapienza, maestria e in modo evocativo, le sue memorie «amiatine»2.
Questo ci suggeriscono i personaggi e gli eventi-simbolo a cui egli ha fatto costantemente riferimento, riandando alle storie di quella terra, che la sua scrittura ha contribuito, in modo ineguagliabile, a far conoscere ed amare. I suoi minatori, il fabbro ferraio Manfredi, i «martiri di Niccioleta», quell’apostolo della giustizia e della nonviolenza (un valore di cui dette testimonianza, immolando la propria vita, come un locale Gandhi ante litteram) che fu l’ottocentesco «profeta dei poveri» David Lazzaretti, Fernando Di Giulio (che era amiatino e dirigente comunista e che, pure, del fondatore di «Testimonianze», pur nella diversità delle appartenenze, era interlocutore e amico).
Al bivio per l’Amiata
C’è un flash della memoria che mi porta a ricordare un momento particolare in cui, come una rivelazione, ebbi l’immagine dell’importanza che per Balducci aveva il mondo delle sue origini. Tornavamo in macchina dalla Maremma, in direzione di Firenze, venendo dal mare. All’altezza di Paganico (dove c’è il bivio per l’Amiata), intravidi Ernesto Balducci proveniente dalla direzione opposta, che imboccava la strada per le sue montagne. Lui non ci vide. Ed io non ho mai avuto l’occasione di fargliene cenno. Ma ho sempre conservato, dentro di me, quel ricordo. Non potevo immaginare quanto quel mondo a me, e a tanti altri amici, sarebbe diventato familiare, andando a Santa Fiora a ricordare lo stesso Balducci negli anni successivi alla sua scomparsa. Non si può, d’altra parte, non parlare degli altri due luoghi-simbolo legati alla sua vicenda umana, spirituale e culturale. Fiesole e Firenze. Come è noto, la sua residenza (e il luogo della sua vita) dal 1964 fino al 1992 (anno in cui si chiuse il suo cammino terreno) fu la Badia Fiesolana. Alla Badia (che è nella diocesi, per l’appunto, di Fiesole) fu mandato, quando fu richiamato dall’«esilio romano» (cui era stato destinato, per punizione, negli anni precedenti) per non farlo rientrare nella città di Firenze. Ma quella Chiesa sulla collina, pur collocata fisicamente ai margini della città, divenne presto, per tanti, un punto di riferimento. Torna alla mente la prima domenica subito dopo l’inizio della Guerra del Golfo. Si rimaneva colpiti dal fiume di macchine parcheggiate a ridosso della Badia e dalla moltitudine di persone accorse ad ascoltare l’Omelia. Erano credenti e non credenti in cerca di orientamento. E Balducci parlò, naturalmente, non di politica. Annunciò il Vangelo della pace. Il suo punto di vista era chiaro e i temi che a lui stavano a cuore erano sempre quelli: la pace, il dialogo, il rapporto con il Sud del mondo, l’accoglienza, il confronto con l’altro. Ma al linguaggio, ai registri da usare, nella distinzione dei piani era attentissimo. Era uomo di fede e difensore della laicità. Il senso del suo messaggio e le sue analisi erano ben riconoscibili e si riproponevano, sia che parlasse in chiesa, sia che intervenisse in una casa del popolo. Ma il timbro, evidentemente, cambiava. Era, in definitiva, una forma di rispetto nei confronti dei suoi interlocutori e di coerenza rispetto ai suoi stessi enunciati. Che postulavano, insieme, fedeltà alla Chiesa (cui però era chiesto un radicale rinnovamento) e immersione (come voleva il suo evocativo linguaggio) nella polvere della storia. Sul piano della riflessione di fede come sul terreno del dibattito sui temi di ordine politico e civile, Ernesto Balducci fu uno degli animatori della «grande Firenze» di cui è giusto oggi fare memoria e ripensare la lezione. La Firenze che ha visto, al suo interno, fiorire le straordinarie esperienze e spiccare le originali figure di esponenti del cattolicesimo democratico (ammaestrate dall’insegnamento del card. Elia Dalla Costa) come Giorgio La Pira, don Lorenzo Milani, don Renzo Rossi, Mario Gozzini, Giampaolo Meucci e, appunto, Ernesto Balducci. Una città in cui, del resto, particolarissime, e disponibili al dialogo, erano anche realtà e personalità del cosiddetto «mondo laico» (di ispirazione liberal-socialista o comunista). Si pensi a Giorgio Spini, a Ernesto Codignola, a Enzo Enriques Agnoletti, a Mario Fabiani, a Eugenio Garin, a Ernesto Ragionieri, a Cesare Luporini. Qualcuno, a questo punto, potrebbe obiettare che le considerazioni fin qui svolte sono fuori tema rispetto al titolo dal nostro volume che dovrebbe dar conto di un pensiero anticipatore. In fondo, si dirà, non si è parlato che di radici, storia e memoria. Ma, in realtà, c’è una stretta correlazione fra questo retroterra (con l’humus culturale che ha fecondato il percorso e l’originale riflessione di Balducci) e la sua inclinazione ad interrogarsi sul futuro ed a prendere come riferimento l’universale e i destini globali del pianeta. È quanto, già, si è cercato di evidenziare nel Progetto e nel fascicolo Ernesto Balducci, cittadino della Toscana, cittadino del mondo3.
Con la finestra aperta sul mondo
È in questo fascicolo che viene riproposto un bel testo di Arturo Paoli (scritto poco dopo la scomparsa del fondatore di «Testimonianze») in cui, con un’immagine felicemente aderente al vero, viene ricordata la vocazione singolare (fin quasi al paradosso) di un uomo radicato ostinatamente in un luogo (la sua Badia Fiesolana) eppure continuamente attento a cogliere il respiro del mondo4. Costantemente, e idealmente, aperta sul mondo, era la sua finestra. Lo abbiamo già detto, e forse è in sovrappiù ripeterlo: il suo libro-simbolo (quello a cui viene sempre di fare riferimento) è L’uomo planetario. È in quelle pagine, e, forse ancor più, in quelle de La Terra del tramonto, che egli analizza non solo le dinamiche del suo tempo, ma anche le incerte linee del domani. Un domani che sarebbe stato fatto (come nei suoi testi andava argomentando) di realtà sempre più interdipendenti fra loro. In un pianeta sempre più unito e, insieme, sempre più diviso. L’uomo planetario non è, d’altra parte, sinonimo di un indistinto appiattimento e di una semplificatrice omologazione di identità fra loro diverse e distinte. Non si tratta, in questa prospettiva, di cancellare la propria identità o la propria storia per accedere all’indistinto. Al contrario. Si tratta di assumere pienamente il senso della storia che si ha alle spalle e da cui siamo stati formati per aprirsi in modo nuovo al confronto con l’altro. L’altro è un concetto-chiave del suo pensiero e del suo modo di vedere le cose. Nella civiltà planetaria non si tratta, dunque, di essere omologati all’altro; si tratta di entrare in un nuovo rapporto fra identità e alterità. Nel mondo di domani non è pensabile (a meno di non coltivare una pericolosa visione totalizzante della realtà) che sparisca il conflitto. Ma il confronto, e finanche, il conflitto fra diversità, andrebbe depurato della sua aggressività distruttiva. È la strada di quella graduale «civilizzazione» già indicata da Freud nel suo celebre carteggio con Einstein5. Una strada segnata dalla difficoltà con cui si deve misurare continuamente la spinta civilizzatrice di Eros ostacolata dalle tendenze distruttive e mortifere di Thanatos. Certo, l’alternativa appare radicale. La guerra – sosteneva Balducci – nell’era atomica (quella della mutua distruzione assicurata) è uscita definitivamente dalla sfera della razionalità se mai vi è appartenuta. Essa non è più la continuazione (seppur feroce) della politica con altri mezzi. Può essere la premessa e la causa della fine della stessa specie umana. E l’umanità intera, per salvare sé stessa, dovrebbe unirsi in un consapevole patto di «solidarietà di specie». Un auspicio che non si può che sottoscrivere.
Quell’infinità di «guerre locali»
Nel frattempo, in piena era atomica, nel mondo dominato dalla «logica di Yalta», ma anche nel periodo successivo (fino ai nostri giorni) si sono combattute molte «guerre locali», che hanno causato milioni di morti e un’infinità di distruzioni. Pensiamo alla Guerra del Vietnam. Un piccolo Paese in cui erano impegnate massicciamente le truppe di una potenza nucleare (gli Usa) che combattevano contro i guerriglieri Vietcong (che avevano l’appoggio di due altre potenze nucleari, L’URSS e la Cina, alleate del Vietnam del Nord). Una guerra che si è conclusa quando le truppe straniere (americane) se ne sono andate. E pensiamo alla vicenda Afghanistan n. 1 (occupato dall’armata di una potenza nucleare come l’URSS) e alla vicenda Afghanistan n. 2 (quella della ventennale presenza in quei territori di una Forza multinazionale, in cui la parte del leone era rappresentata dal contingente degli Usa, cioè di un grande Paese nucleare). In entrambi i casi, la guerra si è conclusa quando gli occupanti se ne sono andati. Sui modi di qualche uscita di scena (penso a quella gestita da Biden), molto ci sarebbe da dire6. Ma non è questo che qui interessa. Sono comunque vicende storiche significative (quelle sopra ricordate) su cui sarebbe importante riflettere anche in relazione alla drammatica situazione ucraina. Dove c’è un Paese che è stato invaso dalle forze soverchianti di una potenza nucleare (la Federazione Russa) e che viene sostenuto, nella sua difesa, dagli aiuti militaridell’Europa e degli Stati Uniti (altra grande potenza nucleare). Non sappiamo come si svilupperanno le cose (anche solo da qui al momento in cui queste pagine verranno pubblicate) e quale sarà la via di uscita (prima possibile, speriamo) dalla tragedia in atto, in Ucraina. Non è detto che vada come in Vietnam o in Afghanistan. Forse non è possibile. Forse non è nemmeno auspicabile (come alcuni sostengono). Ma, certo, i precedenti qui richiamati, qualche riflessione più attenta, in merito, la suggerirebbero. Quel che è certo, in generale è che c’è molto da lavorare per la pace. Pace che non è solo assenza di guerra. È un punto che già i primi convegni Se vuoi la pace prepara la pace di «Testimonianze» hanno esplicitato, quello del legame fra pace, diritti umani e autodeterminazione dei popoli7. Sui diritti umani (a partire, evidentemente, anche dalla lezione dell’Ottantanove) c’è una bella riflessione di Balducci, che «Testimonianze» ha poi riproposto8. Un testo in cui la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948 viene definita come un «atto supremo della storia rivoluzionaria del nostro secolo» e come un «vero spartiacque nella storia» che ha «determinato una modifica nella coscienza umana»9. Una giusta, e importante, sottolineatura. Quelle della «Dichiarazione Universale» non sono solo parole scritte sulla carta10. Sono principi (relativi ai diritti civili, politici e sociali) che in gran parte del mondo attendono ancora di essere realizzati. Si pensi a situazioni (ne faccio un elenco limitatissimo), come quelle dell’Afghanistan (la cui società civile è stata abbandonata a sé stessa e alla repressione talebana), dell’Arabia Saudita (basta citare il caso dell’efferato assassinio del giornalista oppositore Jamal Kashoggi), dell’Iran (con il caso-simbolo della persecuzione dell’avvocatessa Nasrin Sotudeh), di Hong Kong (dove è stato arrestato, anche se poi rilasciato, il Cardinale Zen, difensore delle libertà in una città che ne è stata deprivata dopo che la Cina ha, di fatto, disconosciuto il principio «Un Paese, due sistemi»), al Myanmar (governato da una feroce casta militare), al caso Israele-Palestina (dove da decenni si parla della soluzione di «due popoli, due stati», per garantire sicurezza a Israele e diritti ai palestinesi), all’Amazzonia (dove è minacciato l’ambiente, insieme a identità e sopravvivenza degli indios), L’elenco sarebbe lunghissimo. Ma la lunga marcia dei diritti umani (che può subire contraccolpi, sconfitte e battute di arresto) deve andare avanti.
Iustitia et Pax
Certo, sarà inevitabilmente un impegno di lunga lena. Balducci cita la lettera-appello di uno dei ragazzi di Tien An Men (del movimento che poi sarà stroncato dalla repressione). Che inizia in modo toccante («Caro padre, cari zii, care zie»), invitando poi tutti a non essere tristi e ad essere consapevoli che «la battaglia democratica non può essere vinta da una sola generazione»11. La direzione verso cui muoversi è dunque delineata. L’impegno globale per la difesa e la promozione della cultura dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli è dimensione imprescindibile di un’azione volta a dare solido fondamento alla cultura della pace. C’è un dipinto di un importante pittore manierista del cinque-seicento (Jacopo Palma il giovane) che rappresenta due figure che si abbracciano: sono la pace e la giustizia. Iustitia et Pax. Battersi contro la guerra per promuovere la pace nella giustizia. È in una prospettiva del genere che potrebbero trovare soluzione alcune delle gravi crisi e delle tragedie del nostro tempo (Ucraina, Yemen, Siria) e che potrebbe avvicinarsi la concretizzazione di quel Sogno di una cosa, di portata universale, che Ernesto Balducci aveva iniziato a concepire a partire dalla speranza, non sopita, di rinnovamento delle cose del mondo appresa dalla gente umile del villaggio delle sue origini.
1 Inquietudine, fede e (limpida) poesia di Margherita Guidacci, di R. de Filippis, in «Testimonianze» nn. 541-542, 2022, volume monografico dedicato a Pianeta donna.
2 Vedi E. Balducci, Il sogno di una cosa. Dal villaggio alla civiltà planetaria (a cura di L. Niccolai), Edizioni Cultura della pace, San Domenico di Fiesole 1992.
3 Ernesto Balducci, cittadino della Toscana, cittadino del mondo (quaderno speciale di «Testimonianze», supplemento al volume nn. 541-542 della rivista, realizzato nell’ambito della Festa della Toscana 2021).
4 Ascoltare il respiro del mondo. Il lungo rapporto di Ernesto Balducci con «Testimonianze», Quaderni del Cinquantennale n. 2.
5 A. Einstein e S. Freud, Riflessioni a due sulle sorti del mondo (con Prefazione di E. Balducci), Bollati Borighieri, Torino 1989.
6 Vedi in prop. S. Ghaffar (intervista a cura di A. Meli) Donne che interpellano il mondo: il «caso Afghanistan», nella sezione monotematica dedicata a Pianeta donna, cit.
7 Vedi Atti Convegno Disarmo, Diritti umani, Autodeterminazione dei popoli (3° Convegno Se vuoi la pace prepara la pace), 3- 4 Marzo 1984, «Testimonianze» nn. 264-266).
8 «Testimonianze» n. 326, 1990, pp. 15-29, poi in volumetto nel Novembre 1994 e nel volume monografico Sul crinale della storia. A confronto con Ernesto Balducci venti anni dopo, «Testimonianze» nn. 481- 482 (pp. 267-277).
9 Sul crinale della storia, cit. pp. 271-272.
10 Vedi in prop. 1948-2018: diritti umani in cammino, volume monografico (nn. 521-522) di «Testimonianze» (a cura di F. Comina, S. Saccardi, S. Siliani e S. Zani).
11 Sul crinale della storia, cit. pp. 267-268.