di Vittoria Franco

Luce Irigaray, filosofa (francese, di origine belga) con solide basi culturali di tipo psicoanalitico, è stata il punto di riferimento per generazioni di donne impegnate nella battaglia per i diritti civili e la parità di genere. È un pensiero, il suo, che si fonda sulla radicale contestazione della posizione subalterna assegnata, storicamente, alla donna (anche nelle opere di grandi autori come Hegel, Freud, Lacan, apertamente criticati). Ne scaturisce la rivendicazione di una nuova etica della differenza sessuale orientata a ridefinire i rispettivi ruoli dell’uomo e della donna, all’insegna del rispetto e di una relazione priva di gerarchie, capace di evitare la fusione, il possesso, la riduzione a oggetto, la schiavitù. È in questo quadro che si inscrive la questione dei diritti (primo fra tutti quello all’inviolabilità del corpo femminile), che trova il suo pieno significato nell’assunzione dell’universalità del «due» (cioè, di un’uguaglianza non formale fra i generi).

 

Una nuova relazione fra i generi
Considero Luce Irigaray la filosofa che ha elaborato nella maniera più coerente e compiuta un’«etica della differenza sessuale» e di una nuova relazione fra i generi. La parola «etica» non indica qui niente di normativo, nel senso di un complesso di prescrizioni, ma viene adoperata nel suo senso originario, che ha la sua radice nel greco ethos, che significa dimora, un luogo proprio. Nel nostro caso rinvia alla ricostruzione di genealogie e di simboli femminili per trovare un posto nell’ordine simbolico del mondo e che – nell’ottica della differenza sessuale – si può tradurre come costruzione di una casa comune, in cui uomini e donne possano abitare insieme nel rispetto dell’identità di ciascuno e costruire così un’alleanza. La differenza sessuale è per la pensatrice la questione che la nostra epoca ha da pensare allo scopo di produrre una nuova fase per il pensiero, l’arte, la poesia, il linguaggio: per la «creazione di una nuova poietica»1.
Non è stato un lavoro facile il passaggio da una concezione secolare della differenza come ragione di esclusione e di relegazione della donna nella sfera privata a una teoria nella quale essa viene considerata affermazione di autonomia con un segno rovesciato, positivo. Per la costruzione di una nuova teoria della differenza la riflessione filosofica ed etica di Luce Irigaray è di primaria importanza.
Irigaray è una filosofa – di origine belga, naturalizzata francese –, ma con una solida formazione psicanalitica. Ha fatto parte dell’École Freudienne de Paris fondata da Lacan, dalla quale venne però estromessa in seguito alle critiche sulla sessualità femminile che nella sua opera Speculum, de l’autre femme (1974) muove all’illustre psicanalista oltre che a Freud, il quale considerava la donna un maschio mancato, un «ometto svantaggiato», un ometto «(…) più narcisista a causa della pochezza dei suoi organi genitali. Più pudico perché si vergogna del confronto svantaggioso. Più invidioso e geloso perché meno dotato. Senza inclinazione verso gli interessi sociali condivisi dagli uomini. Un ometto il cui unico desiderio sarebbe quello di essere o di restare un uomo»2. Un «(…) essere castrato, di cui l’uomo si assume, per quanto può, la signoria, il dominio». Per Freud, dal luogo dove si costruisce il simbolico la donna deve essere esclusa. È per la filosofa l’inizio di una riflessione ampia, profonda, multidisciplinare3, tesa a destrutturare questo pensiero «fallocentrico», a sconvolgere la tradizione filosofica e culturale occidentale basata sulla centralità, e superiorità, della figura maschile, convinta che occorra andare alla radice del pensiero per ribaltarlo. «Perché abbia luogo l’opera della differenza sessuale occorre (…) una rivoluzione di pensiero, e di etica»4, sostiene. Altrimenti, anche le rivendicazioni dei diritti restano senza respiro teorico, parziali, locali; sono solo concessioni da parte del potere politico, non assunzione di nuovi valori. Per rendere più solidi e duraturi i diritti occorre stabilire fondamenti diversi da quelli su cui è stato costruito il mondo degli uomini.

 

Fratello e sorella: storia di una asimmetria
In Etica della differenza sessuale (1984) si può rintracciare la certificazione di tale percorso. Ogni capitolo parte dall’affermazione di un filosofo classico o contemporaneo, che viene assunta e contestata, rivoltata, con un argomentare originale che mette in campo categorie, linguaggio e logica del tutto inediti. Il suo contrappunto più importante – che possiamo considerare quello fondativo – riguarda Hegel e il famoso capitolo sull’eticità della Fenomenologia dello spirito, in cui si parla di mondo etico, legge umana e divina, di uomo e donna evocando l’Antigone di Sofocle5. Due sono i passaggi che possiamo assumere come emblematici. Quello in cui, a proposito della famiglia, Hegel attribuisce ad essa la legge dei Penati «che si contrappongono allo spirito universale»6 e quello in cui la differenza sessuale viene attribuita a un’immutabile legge dell’eticità. Nell’istituzione famiglia emerge, infatti, anche un’aspirazione all’universale spingendo fuori di lei il singolo, soggiogando la sua naturalità e singolarità, educandolo «alla virtù, alla vita nell’universale e per l’universale». E questo singolo è esclusivamente l’uomo che, in quanto cittadino, arriva a possedere «l’autocosciente forza dell’universalità», mentre il «feminino» resta legato alla legge dei Penati, della famiglia. Il fratello può abbandonare quell’eticità immediata ed elementare della famiglia e passare nella coscienza dell’universalità, conquistare l’eticità effettuale consapevole di se stessa. «Dalla legge divina, nella cui legge viveva, egli passa alla umana». Mentre la sorella resta la conservatrice della legge divina. «In tal guisa i due sessi sorpassano la loro essenza naturale e si presentano nel loro significato etico quali diversità che si spartiscono fra loro le differenze che la sostanza etica si dà»7.
Nei suoi commenti Irigaray sottolinea l’asimmetria tra il fratello e la sorella nell’opera hegeliana. Mentre lui «(…) può ancora guardarsi nella sorella come in uno specchio vivente, ella non troverebbe in lui un’immagine di sé che le permettesse di uscire dalla famiglia e di avere diritto al “per sé” dello spirito “del giorno”. È nel marito e nel figlio che ella avrebbe accesso alla generalità, ma a prezzo della propria singolarità”»8.
La nuova etica a cui la filosofa francese lavora rivede, nella teoria e nella pratica, questo ruolo assegnato storicamente alla donna, al fine di renderle possibile l’accesso alla differenza sessuale «(…) senza gerarchia mortifera né divisione del lavoro che proibisca alla donna questo compito che le riservava Hegel: andare dal più profondo della terra al più alto cielo del mondo; ossia, essere fedele a un processo del divino che passa per lei, il cui tragitto toccherebbe a lei sostenere, senza regressione o abbandono del suo desiderio singolare»9. Per Hegel, lo abbiamo visto, le donne servono all’apparizione del dio senza apparire esse stesse come donne divine. Madri di Dio, serve del Signore sì, incarnazioni della divinità no. A loro è precluso l’accesso al per sé, è «(…) come un restare del femminile nel mondo vegetale senza possibilità di crearsi un territorio animale. Il mondo femminile sarebbe paralizzato nel suo divenire etico»10. Paradigmatico il caso di Antigone: estromessa dalla città, non potendo agire, non le rimane che darsi la morte, giacché non vuole che la sua azione si riduca all’«(…) obbedienza all’ordine di uno Stato che le proibisce un agire etico suo proprio».
Occorre, allora, che il mondo delle donne realizzi, insieme, un nuovo ordine etico e le condizioni dei loro atti; organizzi la loro territorialità animale in stato «coi suoi simboli, le sue leggi, i suoi dei», un universo che non sia semplicemente per l’altro.
Irigaray lavora a preparare un tempo in cui la donna possa abitare il mondo e coabitare con l’uomo senza gerarchie e destini prestabiliti, inscritti in un’eticità astratta e inattaccabile. Un tempo in cui siano entrambi «creatori di mondi», un compito che non si può che assolvere con l’opera «di due metà del mondo: maschile e femminile». La sua costruzione teorica tiene insieme il piano ontologico dell’essere due e il piano del simbolico. Il piano ontologico contempla anche riferimenti alla morfologia dei corpi sessuati (per le donne quello che lei chiama il «mucoso»), ma non diventa mai separatismo politico. La costruzione del femminile – con la sua territorialità e simbologia – è fatta per consentire alle donne soggettività e autonomia, il raggiungimento di una loro singolarità in sé e per sé, la possibilità di abbandonare la legge dei Penati per ascendere alla legge del giorno, quella del diritto e dello Stato: alla cittadinanza piena.

 

«Io non sarò mai al posto di un uomo»
Cruciale per una nuova etica della differenza sessuale è una ridefinizione dell’economia del desiderio. Alla domanda su come si mantenga e si rispetti la soggettività femminile in questo campo, la filosofa risponde evocando la necessità che nel campo di attrazione ci sia un doppio desiderio, altrimenti il polo + e il polo – «(…) si ripartiscono tra i due sessi, senza che si stabilisca un chiasma o un doppio giro in cui ciascuno possa andare verso l’altro e tornare a sé»11. E invece, i due poli devono coesistere in entrambi i sessi, altrimenti è sempre lo stesso che esercita attrazione, l’altro sussiste in movimento ma senza luogo proprio. Il punto è, dunque, che entrambi devono poter andare verso l’altro e tornare a sé. Ciò comporta che fra i due si frapponga una distanza, un intervallo, che consenta alla donna di essere anche luogo proprio, oltre che luogo per l’uomo, sia come madre che come amante. Dovrebbe potersi riavvolgere da sé medesima. Essere luogo proprio significa poter prevedere un limite.
E qui veniamo a un altro passaggio teorico importante nella costruzione di Irigaray, un’assoluta novità sia nell’economia del desiderio che nella concezione di una metaforica spazialità in cui si gioca il rapporto fra amanti di sesso differente: il limite, come l’intervallo, è ciò che consente l’incontro e il ritorno a sé. Per spiegarlo, Irigaray ricorre alla passione dell’ammirazione come descritta da Cartesio: un sentimento che sorge al cospetto di oggetti o eventi rari ed eccezionali. Una passione che si rinnova sempre come fosse la prima volta. L’ammirazione diventa metafora dell’insostituibilità di un sesso rispetto all’altro: «Io non sarò mai al posto di un uomo, mai un uomo sarà al mio posto»12. L’uomo e la donna sono tra loro irriducibili. E infatti, l’ammirazione così concepita «(…)non afferra mai l’altro come un proprio oggetto. (…) quell’oggetto resta imprendibile, inappropriabile, irriducibile»13. Applicata alla differenza sessuale, l’ammirazione registra il fatto che fra i due generi si conservi «(…) uno spazio libero e attraente, una possibilità di separazione e di alleanza». L’intervallo che si crea non va oltrepassato perché non può esserci consumazione completa; «(…) un sesso non è interamente consumabile dall’altro. C’è sempre un resto». È questa concezione della differenza sessuale come limite che consente un rapporto diverso da quello fra servo e padrone, dalla relazione come possesso.
Il pensiero della differenza diventa allora il nuovo, necessario, contesto per realizzare progetti di vera autonomia e libertà per le donne, e riorganizzare nei confronti dell’uomo una relazione senza dominio; una reale uguaglianza fra soggetti che si riconoscono nella reciproca autonomia e nel rispetto delle reciproche differenze14.
I termini chiave per chiarire ulteriormente tale questione e definire ciò che la filosofa chiama l’«ontologia dei due generi» possono essere proprio parzialità e irriducibilità all’altro. La parzialità indica il limite soggettivo di un genere rispetto all’altro; mi dice che posso percepirmi solo come una parte del genere umano e che non posso estendermi oltre. Ogni sesso è parziale, non può rappresentare il tutto. L’irriducibilità segna invece lo spazio della mia autonomia, segnala il limite dell’altro rispetto a me, circoscrive una distanza. L’altro non può cancellare la mia esistenza. Ed è questo che ne fa una categoria della libertà possibile, la premessa di una relazione non più basata sul dominio di un sesso sull’altro, ma sul reciproco riconoscimento.
Luce Irigaray usa una metafora efficace quando parla di etica dell’amo a te, con una evidente scorrettezza grammaticale che fa diventare intransitivo un verbo transitivo. Ma la scorrettezza è ritenuta necessaria dal momento che il linguaggio ordinario è spesso insufficiente, inadeguato a dire di una nuova, diversa relazione fra l’uomo e la donna. È necessaria per indicare proprio la coscienza del limite e il rispetto della reciproca autonomia. Irigaray la chiama anche «in-direzione» o intransitività per sottolineare che fra l’uomo e la donna va stabilita una relazione intersoggettiva che eviti la fusione, il possesso, la riduzione a oggetto, la schiavitù. Come dire: tu trascendi me e il mio corpo, sei un’incarnazione di cui io non posso appropriarmi, pena l’alienazione della mia stessa libertà. Quindi, «(…) volerti possedere equivale a un sogno solitario, solipsistico, che dimentica che la tua coscienza e la mia non ubbidiscono alle stesse necessità». Con queste parole efficaci viene disegnato l’orizzonte di una convivenza fra i due generi rispettosa dell’autonomia e della dignità della donna e improntata al principio dell’inviolabilità del corpo femminile: «Tu che non sei e non sarai mai me né mio»15. Tra i due deve restare un intervallo, uno spazio libero che rispetti la soggettività di ciascuno. È questo intervallo che diventa simbolo dell’autonomia femminile: «La a è garante di due intenzionalità: la mia e la tua. In te amo ciò che può corrispondere alla mia intenzionalità e alla tua»16.

 

La nuova etica del limite
L’autonomia e la relazione si giocano in questi spazi delimitati. L’indirezione, l’intervallo, il silenzio, l’ammirazione verso l’altro diverso e irriducibile sono le metafore di una nuova etica del limite, che comprende il sé e l’altro ed è condizione della libertà femminile. Vogliono insieme costruire un «noi» che è relazione nella diversità. Ecco che emerge un diverso concetto di uguaglianza fra i due generi: non è l’uguaglianza con gli uomini – col medesimo, lei direbbe – ma relazione non gerarchica nel rispetto della differenza. Con questo Irigaray non sottovaluta affatto la portata storica della conquista di diritti di uguaglianza. Anzi, ritiene che la soggettività morale autonoma della donna possa svilupparsi solo a condizione che esista un soggetto di diritti. Piuttosto, la nuova domanda è: «Come articolare la duplice “rivendicazione” di uguaglianza e differenza» ed evitare che la donna sia «l’uguale dell’uomo» o «un uomo in divenire»? Ecco la questione che la gran parte del femminismo affronta e alla quale Luce Irigaray dedica attenzione. Lei risponde proponendo un pacchetto di «diritti civili delle donne», che contribuiscano a costruire un’identità e una cultura che restituisca loro tutto ciò di cui sono state private17. E, coerentemente, il primo diritto civile che nomina è il diritto alla dignità umana, e quindi: non più considerazione delle donne come esseri di minor valore, non più uso commerciale dei loro corpi o delle loro immagini. L’altro diritto che ne consegue, e che viene nominato con parole che restano scolpite nella pietra, è «l’inviolabilità del corpo femminile». La traduzione politica di questa teoria della differenza comporta il riconoscimento che la democrazia e le sue istituzioni costituiscono un’impresa cooperativa di donne e di uomini. «La democrazia comincia a due»18. Si fonda cioè su due soggetti differenti, non su un «uno neutro». Questo «due» che nasce dalla differenza sessuale deve però poi farsi uguaglianza proprio attraverso l’eguale responsabilità nella costruzione della democrazia. Assumendo l’universalità del due, si arriva anche a un concetto non formale di uguaglianza fra i generi.
L’uguaglianza formale a cui spesso ci si richiama si basa sulla neutralità del soggetto cittadino, mentre il concetto di eguale cooperazione si fonda sul riconoscimento del due e su una dimensione più concreta e sostanziale di uguaglianza.

 

1 L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985, p. 11.
2 L. Irigaray, Speculum. L’altra donna, Feltrinelli, Milano 1975, p. 22.
3 Cfr. in particolare L. Irigaray, In tutto il mondo siamo sempre in due. Chiavi per una convivenza universale, Baldini e Castoldi, Milano 2006.
4 L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, cit., p. 12.
5 G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, La nuova Italia, Firenze 1972, vol II, pp. 6 sgg.
6 Ibidem, p. 9.
7 Ibidem, p. 18.
8 L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, cit., p. 93.
9 Ivi.
10 Ibidem, p. 86.
11 Ibidem, p. 14.
12 Ibidem, p. 16.
13 Ibidem, p. 17.
14 Cfr. anche L. Irigaray, Condividere il mondo, Bollati Boringhieri, Torino 2009.
15 L. Irigaray, Amo a te, Bollati Boringhieri, Torino 1993, pp. 107 sgg.
16 Ibidem, p. 115.
17 L. Irigaray, Il tempo della differenza. Diritti e doveri civili per i due sessi. Per una rivoluzione pacifica, Editori Riuniti, Roma 1989.
18 L. Irigaray, La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994.