Verso la «sostenibilità»: centri urbani in transizione
di Chiara Agnoletti e Stefano Casini Benvenuti

È importante partire da un essenziale excursus dei cambiamenti che nel corso della storia hanno interessato organizzazione spaziale, dimensioni, usi e vivibilità degli insediamenti umani, per ragionare, ai giorni nostri, con una rinnovata attenzione interdisciplinare, sul nuovo ruolo e sulle sorti della città, posta di fronte alle sfide dei cambiamenti economici, sociali e ambientali del presente e alle prospettive del futuro. Ripensare la città in una prospettiva ecologica, in termini di sostenibilità ambientale e sociale, implica valorizzarne creativamente il fattore agglomerazione (privilegiando le istanze di carattere comunitario rispetto alla stretta dimensione individuale), da considerare come un elemento fondamentale non solo in termini economici, ma anche culturali ed ecologici.

Un’ottica interdisciplinare per leggere la città

La lettura dei cambiamenti che riguardano le città ha da sempre richiamato l’attenzione di molti studiosi afferenti a diversi ambiti disciplinari: dagli urbanisti, ai sociologi, agli economisti urbani solo per citarne alcuni. L’attenzione che il tema città richiama e le molteplici prospettive che possono essere assunte per leggerne struttura e cambiamenti riflette il complicato intreccio che lega società, stili di vita, modi d’uso e organizzazione spaziale della stessa. D’altra parte l’evoluzione dell’organizzazione insediativa è storicamente legata e conseguente ai principali cambiamenti intervenuti nella società, alla sua organizzazione, all’uso delle tecnologie, ecc. Da qui deriva l’importanza di immaginarne le possibili evoluzioni, anche in relazione al ruolo che queste rivestono oggi nelle rispettive economie regionali e ancora di più in prospettiva. Alcuni cambiamenti sono già evidenti a partire dai confini e dai modi di identificarla: la cosiddetta città de jure, ovvero quella che si identifica con i limiti amministrativi, non coincide da tempo con la città de facto. I processi di urbanizzazione del territorio hanno portato, da un lato, alla formazione della campagna urbanizzata, dall’altro, alla nascita delle conurbazioni metropolitane attraverso l’unione di alcuni centri urbani secondo processi di coalescenza territoriale. Questi fenomeni guidati da una serie di spinte – tra cui la rendita immobiliare, la ricerca di un migliore rapporto costo/qualità dell’abitare –, ma anche da aspirazioni di vita identificate con la villetta mono o bi-familiare, hanno prodotto prima i noti processi di dispersione insediativa (sprawl) per poi arrivare progressivamente alla formazione delle grandi aree urbane o metropolitane. Oggi le città hanno esaurito la spinta espansiva e puntano alla «densificazione», al recupero delle aree dismesse e alla riorganizzazione spaziale in chiave policentrica e si trovano ad affrontare nuove sfide.

Fare un passo indietro per guadare avanti

Ma facciamo un passo indietro e collochiamo le questioni emergenti in uno scorcio prospettico che ne stilizza le principali tappe evolutive e che parte dalle ragioni della stessa nascita della città; ovvero di quel luogo che gli uomini hanno creato quando hanno dovuto vivere insieme per svolgere una serie di funzioni che non potevano svolgere da soli. Inizialmente queste funzioni erano essenzialmente di difesa e scambio: le mura e il mercato sono infatti gli elementi fondativi della città, che sorgono in luoghi in cui è possibile assolvere alle esigenze di difesa (alture) e del commercio (incrocio di strade e di vie d’acqua). Con il tempo le funzioni si sono mano a mano arricchite: templi e cattedrali (funzioni religiose), fori e piazze, tribunale, palazzo del governo, ovvero funzioni legate alla giustizia e alla vita sociale. Il primo mutamento decisivo per le città europee arriva nella prima metà del 700 quando vengono interessate da consistenti incrementi della popolazione accompagnati dal mutamento del sistema produttivo; il riferimento è alla transizione dall’economia agricola a quella industriale. Nell’800 nelle città sono ben visibili gli esiti dell’intenso urbanesimo avvenuto negli anni precedenti, primo tra tutti la mancanza di servizi (rete idrica ma anche fognature) e le scarse condizioni igieniche complessive con le ovvie conseguenze in termini di esposizione della popolazione a malattie ed epidemie. L’urbanistica moderna nasce come il tentativo di dare una risposta alla crisi della città ottocentesca e consiste in un insieme di regole, dettate dall’autorità pubblica, in grado di dare ordine alle trasformazioni urbane e costruire il substrato per l’attività di costruzione e localizzazione di funzioni da parte dei privati. Il miglioramento delle condizioni igieniche è il principio ispiratore di molti interventi di sventramento portati avanti dalle principali capitali europee nel corso dell’800: Hausmann a Parigi (1853-69), la sistemazione del Ring di Vienna (dal 1857), gli interventi del Poggi nella città di Firenze (1864-77) solo per ricordarne alcuni.

Da allora ad oggi l’assetto urbano ha subito notevoli trasformazioni. La città industriale ottocentesca, ha cominciato ad espandersi nel territorio dando luogo a un processo di urbanizzazione notevole. Alla città industriale è succeduta la quella fordista, dei primi del secolo in cui l’industria ottocentesca lascia il passo all’industria moderna, caratterizzata da tecnologie avanzate, dal cambiamento dei processi di produzione e dalla conseguente nuova riorganizzazione dei rapporti e delle relazioni tra industria e le altre funzioni urbane. Il processo di crescita è sempre in atto, fino agli anni 70 le città continuano a crescere, sottraendo popolazione alle campagne e generando, in alcuni casi, vaste periferie prive di connotazione e qualità.

Tale processo, però, si interrompe, e la cosiddetta città post-fordista, nozione con cui si designa l’organizzazione urbana fino ai giorni nostri, vede l’affermarsi di nuove regole ed equilibri, tra cui la nascita e il proliferare dei servizi che, se inizialmente affiancano l’attività industriale, divengono successivamente il settore trainante dell’economia urbana. I principali riflessi spaziali di questa fase sono la nascita di interi quartieri residenziali in zone marginali e il parallelo affermarsi dei principi di qualità ambientale e di sviluppo sostenibile riferiti in particolare all’ambiente non costruito.

Quando cambiano i paradigmi

Se questi sono i principali connotati della trasformazione più recente è facilmente intuibile come siano cambiati paradigmi e contenuti della pianificazione urbana: se fino a qualche decennio fa l’esigenza primaria era di governare l’espansione delle città, ora diviene fondamentale, da un lato, la riqualificazione sia dei centri storici che delle periferie, dall’altro, la tutela e la salvaguardia ambientale. La città è vista tradizionalmente come luogo delle opportunità e dei vantaggi, basti pensare alle possibilità che offre in termini di soddisfacimento dei bisogni primari, come quello dell’abitare e di lavorare, ma anche di riscatto sociale, attraverso la partecipazione alla vita pubblica ed economica. Al contempo è per eccellenza il luogo del consumo, anche di risorse naturali, e produttrice di costi ambientali; è il luogo della concentrazione, non solo di abitanti e servizi ma anche – e conseguentemente – della domanda di risorse (energia, acqua, materie prime anche alimentari), dei relativi output come rifiuti, emissioni in aria e nei corpi idrici. Pertanto deve fare i conti con la congestione, con l’impermeabilizzazione dei suoli, con le isole di calore, con la compromissione della qualità dell’aria e dell’acqua volendo richiamare solo alcune delle principali criticità che affliggono oggi i nostri contesti urbani. Verso la città ecologica Sempre più la qualità di una città si valuta in relazione a ciò che offre in termini di servizi, spazi pubblici, di capitale umano, ma anche in termini di qualità ambientale. Da qui il crescente accostamento al contesto urbano di concetti quali sostenibilità ed ecologia: una chiara dimostrazione è che uno dei 17 obiettivi posti dall’Agenda 2030 – per la precisione l’undicesimo – cita esplicitamente: «Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili»; un obiettivo che per alcuni versi appare persino ridondante visto il contributo che le città comunque forniscono alla realizzazione di buona parte degli altri 16 obiettivi. Ciò che si rileva tuttavia nella declinazione dell’obiettivo specifico è il riferimento non solo all’aspetto strettamente ecologico, ma più in generale al tema dell’«inclusività», della sicurezza e l’attenzione alla riproducibilità del modello proposto (a questo perlomeno fanno pensare gli aggettivi «duraturo e sostenibile»). Non è, cioè, solo questione di un uso più efficiente delle risorse o del controllo delle emissioni atmosferiche, ma è anche quella della qualità della vita delle collettività che vivono nella città, degli spazi della socialità e della convivenza tra persone, culture ed etnie diverse. Del resto – se si vuole – il ruolo sempre più rilevante dato alle città sul fronte della crescita e soprattutto dell’innovazione deriva proprio dalla presenza al proprio interno delle tante diversità che, incontrandosi tra di loro, rappresentano un fattore di forza perché in grado di stimolare maggiormente la creatività. Per questi motivi ci piace immaginare che la città ecologica sia anche quella che accoglie ed integra al proprio interno le diverse comunità che ne fanno parte facendone il motore non solo in generale dell’innovazione, ma anche di un’innovazione rivolta ad uno sviluppo ecocompatibile. Non si tratta di operazione semplice, basti pensare ad esempio, a cosa significhi applicare i principi ecologici e ambientali a parti già costruite, al nostro patrimonio architettonico, a come e se sono adattabili i nostri contesti urbani ai principi ispiratori della green city. La sostenibilità urbana è cosa ben diversa e probabilmente anche più complessa della sostenibilità applicata all’ambiente. Possiamo sostenere che una città ecologica è una città che persegue la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico attraverso una molteplicità di azioni volte a ridurre le pressioni ambientali, migliorando la qualità della vita e dello spazio urbano, anche attraverso una rinnovata cultura pianificatoria all’insegna della resilienza.

Questa rinnovata prospettiva va sposata unitamente alla consapevolezza che l’obiettivo da perseguire in questa fase non è quello di costruire città ecologiche ex novo quanto quello di avviare, la tanto difficile quanto sfidante, transizione verso una sostenibilità ecologica degli insediamenti urbani, che nel caso italiano hanno spesso radici antiche. Abbiamo già ricordato come assieme alla crescita demografica si sia arrestata la crescita urbana e che le occasioni di trasformazione siano affidate alla rigenerazione dell’esistente. Tuttavia il recupero fisico di intere porzioni di città può costituire l’occasione per innescare virtuosi processi di riqualificazione ambientale (potenziando le connessioni con il trasporto pubblico, attraverso il ricorso a energie rinnovabili) e di riqualificazione sociale (con politiche di integrazione di social housing).

Una rinnovata cultura del progetto urbano

Da questa prospettiva, l’attenzione prioritaria è rivolta non tanto o meglio non solo alle dotazioni di naturalità delle città, ma occorre parimenti porre al centro la qualità del paesaggio e degli spazi di aggregazione e dunque una rinnovata cultura del progetto urbano. Molta attenzione è stata dedicata recentemente dalle politiche regionali e locali alla tutela e valorizzazione del paesaggio tradizionalmente inteso, le questioni sopra richiamate ci invitano a riservare maggiore spazio nelle agende politiche ai temi che riguardano il paesaggio urbano e la sostenibilità delle nostre città. È evidente come nel quadro appena delineato le infrastrutture giochino un ruolo centrale non solo in chiave di potenziamento del trasporto pubblico, ma anche come reti di infrastrutture ecologiche, energetiche e verdi, in grado non solo di ridurre

gli impatti ambientali ma anche di ricostruire corridoi di connessione con gli ambienti esterni alla città. Si tratta di infrastrutture non più secondarie anche ai fini della competitività delle città. Così come le opere di urbanizzazione e i relativi oneri nacquero per dotare le nuove espansioni periferiche delle infrastrutture in grado di assicurare livelli minimi di vivibilità, recentemente è stato introdotto il concetto di opere di urbanizzazione sostenibile, in grado di garantire non tanto lo sviluppo urbano tout court, fase ormai superato,

quanto quello sostenibile. Allora se decliniamo in senso esteso il concetto di città ecologica alcuni temi ci sembrano fondamentali: sul piano del contributo alla sostenibilità ambientale, certamente la mobilità, il riscaldamento, il trattamento dei rifiuti, il consumo della risorsa idrica sono i fattori più rilevanti; sul piano della sicurezza e dell’inclusione resta centrale il tema della pianificazione degli spazi urbani ed in particolare delle periferie e del rapporto con i centri storici. Tema quest’ultimo particolarmente rilevante per città di elevato pregio artistico, sottoposte per questo alla forte pressione del turismo.

La città ecologica è quella che tende a favorire la mobilità pubblica con mezzi di trasporto ecosostenibili e che spinge verso le forme di mobilità attiva; è quella che nel recupero del patrimonio esistente tende a sostenere le scelte verso l’utilizzo di materiali e di interventi che favoriscano il risparmio energetico e il ricorso ad energie alternative (non esclusa quella geotermica a bassa entalpia) e a razionalizzare l’uso delle acque; è quella che punta ad una gestione efficiente dei rifiuti. Ma soprattutto la città ecologica dovrebbe essere quella che fa dell’agglomerazione un vantaggio non solo in termini economici (le cosiddette economie di agglomerazione sono ampiamente riconosciute dalla letteratura economica), ma anche in termini ecologici. In tal senso, se gli spazi urbani sono tali da far prevalere il senso di comunità rispetto al punto di vista individuale ciò potrebbe favorire un uso più accorto delle risorse; primo per il fatto che l’uso collettivo dei mezzi di trasporto (anche privati) è ecologicamente preferibile a quello individuale; ma anche perché gli interventi di recupero degli edifici esistenti in chiave di risparmio energetico sarebbero più facilmente sostenibili. Inoltre, quando si tratta di salvaguardia dell’ambiente uno degli aspetti fondamentali è la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, obiettivo che nei contesti urbani può ottenere la sua realizzazione. Infatti nelle città, intese come luogo della modernità e della maggiore apertura all’innovazione, è più facile trovare un substrato favorevole ad accogliere i principi della cultura della sostenibilità e dunque a farlo diventare anche un fattore di sviluppo economico.