Il destino della città del futuro
di Severino Saccardi

Dedico questo articolo alla memoria di Giancarlo Paba, urbanista di valore e cittadino appassionato e consapevole.

La città non è il «regno del male» (come vorrebbe un certo anti-urbanesimo) e non vive nemmeno in una dimensione linearmente positiva. È una realtà viva, complessa e piena di sfaccettature. La «cultura della città» (ricca di storia e di valore simbolico) deve, comunque, ripensare se stessa nel tempo delle megalopoli gigantesche, mentre la popolazione della campagna, per la prima volta nella storia, diventa minoranza ed il rapporto uomo-natura deve essere ridefinito di fronte ad una pressante emergenza ambientale. Sul confronto con temi come la viabilità, la definizione di un nuovo urbanesimo, il verde cittadino, l’impatto massiccio del turismo sulle città d’arte si impone la costruzione di un’«agenda» che, sul piano degli «stili di vita» e su quello delle scelte politiche, definisca i cardini di un ambientalismo democratico e aperto, capace (non in un’ottica «passatista», ma sul terreno della modernità) di dare un solido impianto alla città ecologica del domani.

Due temi «classici»

Ci sono due temi, per così dire, «classici», della riflessione di «Testimonianze» che, in questo volume, si intrecciano: quello della «cultura della città» e quello dell’ambiente. Il tema della città, dell’uso e del valore simbolico della città, è stato autorevolmente, e ripetutamente, trattato da personalità come Giorgio La Pira (che organizzò convegni sulla pace con i sindaci di città di tutto il mondo1, quelli dell’Ovest e quelli dell’Est, appartenenti a mondi allora frontalmente contrapposti), Ernesto Balducci e, naturalmente, Giovanni Michelucci. Tra Michelucci e Balducci c’era un rapporto di amicizia innestato anche su un confronto profondo intorno a questi grandi temi. Michelucci ha scritto sul tema città per «Testimonianze»2 e Balducci ha dedicato il suo ultimo articolo per la rivista (prima del drammatico incidente stradale che chiuse la sua avventura terrena) proprio alle questioni relative alla cultura della città e, in particolare, sul «caso Firenze»3.

Il «versamento del sangue» e l’«amicizia fra gli uomini»

Sulla cultura della città si sono, peraltro, incentrati convegni e volumi di «Testimonianze». È proprio in una di queste occasioni che Balducci si riferisce con suggestive ed incisive parole alla complessità ed all’ambivalenza della dimensione urbana. Che «(…) nata, come ci ricordano gli antropologi e gli storici, col versamento del sangue è nata come invenzione dell’amicizia fra gli uomini, della loro volontà concorde di vincere la spinta all’odio fratricida». Ed è caratterizzata (per riprendere l’«endiade di Simone Weil») dalla sua «pesanteur» e dalla sua «grâce», dal «suo peso di aggressività» e dalla «(…) sua grazia di gioioso superamento di ogni forma di brutalità»4. Ha una doppia valenza e una doppia faccia, dunque, l’immagine della città. Non rappresenta il Male, come potrebbe suggerire la versione estremizzata di un certo spirito rousseauiano, incline a rappresentare civiltà e sviluppo sotto il segno della negatività. Una negatività percepita come tale al punto da portare, addirittura, in uno dei più drammatici passaggi della storia del «secolo breve», allo svuotamento forzato delle città per deportarne gli abitanti nelle aree (non contaminate dagli usi e dalle mentalità delle vecchie classi dominanti) delle campagne5. È del tutto evidente che quello della Cambogia è un tragico «caso limite», di cui va conservata doverosamente la memoria e su cui, d’altra parte, in un contesto come questo, non è certo opportuno soffermarsi ulteriormente, se non per rammentare una volta di più gli esiti disastrosi a cui possono approdare le degenerazioni di rappresentazioni univoche della realtà. Non è comunque con questi riferimenti estremi che può essere condotta la discussione con le posizioni di un certo anti-urbanesimo che, pure, espressamente (e legittimamente) si manifesta o è sotteso ad alcune forme «anti-moderne» di ecologismo. Ma discussione, per cercare un punto di equilibrio, ha da esserci. E con messe a punto da ribadire non certo in una sola direzione. Perché la città, se non è la quintessenza del male, certo non è l’Eden (come suggestivamente sottolinea G. Bormolini). La storia dello sviluppo urbano sta lì a ricordarcelo. Ha ragione chi rimanda allo sconvolgimento che ha comportato la nascita e l’espansione della città industriale. Si cercò, certo, un temperamento rispetto a tali, epocali, cambiamenti (v. M. Zoppi) con la costruzione di parchi e giardini6 e con la messa a fuoco della questione del verde urbano per rendere un po’ più salubre e sopportabile le città.

Un grande crogiuolo di vicende umane

Ma se, nel corso della storia, gli spazi urbani avevano ripreso forza e vigore all’insegna della significativa espressione secondo cui «l’aria della città rende liberi» (metaforicamente), è vero che, molto presto, quell’aria sarebbe diventata (concretamente) assai poco respirabile. Resta il fatto che il richiamo che la città ha continuato ad esercitare su masse crescenti di persone non solo è rimasto intatto, ma ha continuato a manifestare una forza attrattiva in continua espansione. La città (come evidenziato da Balducci) che reca, certo, in sé un carico di aggressività e di innata tendenza a riprodurre culture di dominio, stratificazioni e gerarchie sociali (sia pure con l’elasticità e la mobilità che contraddistinguono l’ambiente urbano nella modernità), è però anche crocevia, luogo di scambio e di incontro, in cui convivono socialità, anonimato ed esaltazione delle libertà individuali. È bifronte e sfaccettata, giova ripeterlo, la città. Non condensato di bene o di male in sé, ma crogiuolo di vite, vicende, esperienze umane. Ma oggi, questo è il punto con cui tutti ci troviamo a misurarci, la dimensione urbana ha cambiato segno. Lo ricordano molti degli amici che hanno scritto per questo volume, che ringraziamo e che ci scusiamo di non poter citare estesamente. Siamo nell’epoca – è un punto che molti richiamano – in cui la popolazione della città ha superato la popolazione della campagna. Crescono gli abitanti delle città, e continueranno a crescere. Vediamo le megalopoli: città di decine di milioni di persone (di cui una parte consistente collocate in favelas, bidonvilles, ranchitos…). Contesti in ci sono intere parti del tessuto urbano che danno vita a una vera e propria «città illegale».

Il cuore di una scommessa

Eppure, la città continua ad espandersi. Questo è un dato di fatto, un elemento di riflessione e, naturalmente, anche un (grosso) problema. La realtà urbana degli anni Duemila, in tante parti del mondo, poco ha a che vedere con l’idea e la tradizione europea di città. Con la sua distinzione fra centro storico e periferie. O, nelle sue esperienze più moderne e più avanzate, comunque con una riconoscibile configurazione policentrica. Nel mondo globalizzato i nostri tradizionali riferimenti a «(…) polis e civitas: (…) l’idea greca e l’idea romana di città»7, rischiano di perdere completamente di senso. Quel che è certo è che oggi il tema della condizione e della vivibilità della dimensione urbana è il cuore di una scommessa della nostra contemporaneità. Una scommessa che ha al centro la questione del rapporto con l’ambiente8. La città si ingrandisce (e questa, al di là di ogni giudizio di merito, è un’evidenza). Ma, se continua così senza mutare «paradigmi», essa esplode. E il mondo intero, il pianeta (L’unico che abbiamo, come stava scritto in un bellissimo manifesto ARCI dei lontanissimi anni Ottanta), è a rischio. I problemi sono sul tappeto. A partire da quello (che, certo, andrà compiutamente valutato nel lungo periodo, ma che, intanto, nessun negazionismo può più occultare) del cambiamento climatico. Per inciso, sto scrivendo mentre è in corso in tutto il mondo la settimana del climate strike, che chiama all’impegno inter-generazionale per la salvezza dell’umanità e per la sopravvivenza della vita stessa sulla Terra. Ma non c’è solo la temperatura che sale e che, implacabile, fa liquefare i ghiacci e sparire i ghiacciai, mentre rende sempre meno sopportabili le estati urbane. I diversi interventi del volume ricordano puntualmente anche gli altri problemi con cui le città del nostro tempo devono inesorabilmente fare i conti. A cominciare dal consumo di suolo (da considerare, sia pure laicamente, come «peccato», secondo De Luca). Per proseguire, in riferimento ad un aspetto centrale della dimensione urbana, con la questione della viabilità e dei trasporti (v. in merito le riflessioni del sindaco Dario Nardella sul rapporto traffico privato-trasporto pubblico nella specifica situazione di Firenze con l’istituzione della tramvia).

Ci salveranno le piante?

Tanti, i temi e problemi che si affollano alla mente: il rapporto delle città con il grande tema dell’acqua, da gestire con oculatezza e con efficienza nel rispetto della sua definizione di «bene comune» e nella considerazione della sua caratteristica (ormai acquisita) di risorsa preziosa, ma limitata; e, in questo ambito, la relazione delle città con i fiumi che, spesso, le attraversano e che fanno intimamente parte della loro immagine e della loro storia (v., tra gli altri, Federici e Grassi); il tema delicatissimo della messa in sicurezza del territorio urbano (rispetto al rischio di carattere idrico e geologico); la domanda, basilare sul modo in cui, in una realtà tanto mutata, vanno costruiti case ed edifici pubblici (anche per garantire il risparmio energetico) e vanno concepite la pianificazione territoriale e la politica urbanistica9 (S. Viviani); la contraddizione che vivono le grandi città d’arte, che hanno subito massicci processi di «gentrificazione» (Siliani, Nocentini) e che vivono il fenomeno del turismo di massa (molto meglio, sia ben chiaro, della realtà di un passato in cui la fruizione del Bello era riservata alle élites) da una parte come una risorsa economica vitale (e, in tanti casi, quasi come esclusiva) e dall’altra come una distruttiva minaccia alla loro identità e integrità; la costruzione di un nuovo rapporto fra spazio edificato e verde urbano e, più in generale, fra uomo e natura (nella consapevolezza di quanto anche il paesaggio «naturale» sia spesso un ambiente antropizzato e «costruito»: eclatante il «caso Toscana»), all’insegna di un nuovo rapporto con quelle fondamentali «compagne di viaggio» che sono le piante10.

Di quale ecologismo c’è bisogno?

Tutti ambiti in cui, all’orizzonte, si pongono scelte fondamentali da fare e che impongono di uscire dalla realtà frustrante (e, talora, devastante) di pratiche, politiche e amministrative di piccolo cabotaggio. Alla base si impone, d’altra parte, una riflessione (ben inquadrata da Salucci) sulla rilevanza etico-filosofica delle problematiche di carattere ecologico. Problematiche a cui sono molto sensibili e a cui vanno avviate (v. Striano e progetti di educazione ambientale nelle scuole) soprattutto le generazioni nuove. Ma di quale tipo di ecologismo hanno bisogno il nostro mondo e il nostro tempo? È un dibattito all’ordine del giorno, anche se i nodi che esso sottintende non sempre sono lucidamente inquadrati e molte ambiguità sono tutt’altro che risolte a favore (S. Zani) di un ecologismo democratico, «liberale», antiautoritario e aperto. Ce n’è di lavoro da fare. Ma la partenza è tutt’altro che dal livello zero. Le realtà locali possono avere un grande ruolo, anche a partire da esperienze esemplari, che non mancano (v. Spini sulla lezione di Oslo) e dalle potenzialità di nuovi movimenti urbani «segnati dall’ambizione di fare la storia»11. Ci sono in proposito importanti linee guida come quelle della UE e delle Nazioni Unite, di cui parla Cavelli12, cui si tratta di dare operante traduzione pratica. Ma c’è soprattutto, per ognuno di noi, cittadini di questo unico pianeta, un salto culturale da fare nella consapevolezza dell’importanza del bene comune (cui dare priorità anche rispetto al sentimento della paura) che impone una riflessione attenta sugli stili di vita individuali e collettivi e sulle scelte politiche da cui dipende il destino della città del futuro.


1 «Non si possono distruggere le città» (ritenute una sorta di comunità «naturali»), era solito ribadire La Pira di fronte al pericolo incombente di una possibile apocalisse atomica. Dell’importanza del «tema città» per il «sindaco santo» di Firenze parla anche Ernesto Balducci (E. B., Giorgio La Pira, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1986, in particolare nel cap. IV dal titolo: L’epoca delle città, da pag. 56 a pag. 67).

2 V., di G. Michelucci, il significativo (e molto «michelucciano») contributo al Convegno di «Testimonianze» dedicato a La sfida della città del 19-20 dicembre 1987 (i cui atti sono riportati nel volume nn. 304-306 della rivista, intitolato, appunto, La sfida delle città).

3 V., nel volume monografico di «Testimonianze» (nn.345-346) su Europa: Un continente e le sue città, l’articolo di E. Balducci dal titolo: Firenze e la città senza mura (all’interno della sezione su Firenze: città europea?).

4 E. Balducci, «Testimonianze» nn. 304-306, cit., pag. 36.

5 Il dramma cambogiano dell’evacuazione forzata dei centri urbani e dei «campi della morte», di cui hanno dato toccante testimonianza opere come il film Urla del silenzio (Killing Fields) di Roland Joffé e il libro Il racconto di Peuw, bambina cambogiana (di Molyda Szymusiak, con prefazione di Natalia Ginzburg, Einaudi, Torino 1986), negli anni Settanta, nel tempo del dominio del regime di Pol Pot, è la conseguenza estrema di una visione ideologica della società e delle relazioni umane in cui, insieme ad altri elementi, anche la drastica rappresentazione in negativo della realtà urbana in sé, ha, evidentemente, un peso determinante.

6 A proposito di giardini, tra i lavori di M. Zoppi, v. il Glossario su Le voci del giardino storico, Angelo Pontecorboli Editore, Firenze 2014.

7 Sono i riferimenti ai quali rimanda, in apertura di un suo interessante libro dedicato alla Metamorfosi della città contemporanea, Anna Lazzarini (Polis in fabula, Sellerio, Palermo 2011).

8 Del tema dell’ambiente, di cui già Balducci sottolineava l’assoluta rilevanza (ed è tra i «problemi assoluti» del nostro tempo che collocava la questione ecologica), «Testimonianze», nel suo percorso editoriale, si è a più riprese occupata. È per offrire un promemoria ai lettori, che rimandiamo a volumi come: Stili di vita ed etica del consumare, sezione monotematica a cura di A. Giuntini, R. Mosi, S. Saccardi, S. Siliani, «Testimonianze» n. 470; Il grande tema dell’acqua (a c. di F. Dei, M. Meli, M. Sbordoni, S. Saccardi e S. Siliani, «Testimonianze» nn. 478-479; Aria, Acqua, Terra, Fuoco (a c. di F. Dei, G. V. Federici, M. Meli, S. Saccardi, S. Siliani, V. Striano, G. Trentanovi e S. Zani), «Testimonianze» nn. 515-516-517. Di taglio particolare perché incentrato sulla vitale questione del rapporto di una città con il «suo» fiume, nel contesto di un memorabile e drammatico passaggio storico è La grande alluvione (a c. di G. V. Federici, M. Meli, L. Niccolai, S. Saccardi, S. Siliani, V. Striano), «Testimonianze» nn. 504-505-506.

9 La questione delle politiche urbanistiche ha (al di là dei problemi che si pongono da noi) evidentemente una rilevanza di carattere globale. Si pensi all’importanza (ed al carattere contraddittorio) che tali temi assumono in un grande Paese come la Cina, che da un lato ci rimanda immagini di città sterminate e, dall’altra, in taluni contesti, si trova a promuovere il comparto edilizio (per non provocare inceppamenti nella macchina economica) anche laddove non ce ne sarebbe palesemente bisogno.

10 Riferimento ineludibile, in questo senso, La nazione delle piante, di S. Mancuso, Laterza, Bari-Roma 2019.

11 A. Lazzarini, Il mondo dentro la città, Università Bruno Mondadori, Milano-Torino 2013, p.123.

12 Di C. M. Cavelli, v. Ecocittà, Gangemi, Roma 2004.