RICORDARE LE ALLUVIONI DEL 1966, AFFRONTARE LE ALLUVIONI DI OGGI
di Giorgio Valentino Federici
Il Comitato di Coordinamento «Firenze2016» intende cogliere l’occasione offerta dal cinquantesimo anniversario dell’alluvione del 1966 per contribuire a rispondere agli interrogativi che il tragico evento ha posto e pone tuttora, per capire cosa è stato fatto e cosa resta ancora da fare, per promuovere o dare visibilità ai progetti che si propongono di affrontare i problemi legati al rispetto dell’acqua e alle altre emergenze ambientali.
Fra memoria e presente
Il Comitato di Coordinamento «Firenze2016» opera da tre anni e, in questo numero, in vari interventi, si elencano attività svolte e programmi per l’anno dell’anniversario. Una delle principali azioni è stata quella di raccogliere la memoria dell’alluvione del 1966 e di cosa pensano i cittadini delle alluvioni di oggi. Sono emerse affermazioni a cui è doveroso cercare di dare una risposta.
«L’alluvione è stata rimossa!». Numerosi fiorentini hanno confermato questa sensazione, che era già stata ipotizzata nel bel libro di Giuseppe Di Leva nel trentennale nel 1996 «(…) non esiste una continuità di analisi e di studio. Ci sono gli estremi per dire che siamo di fronte a un caso di “rimozione collettiva» (e non forzata)?».
«Non s’è fatto nulla!» è l’altra affermazione che si poteva cogliere sempre nel trentennale nel quartiere Santa Croce, simbolo dell’alluvione con la Basilica, la Biblioteca Nazionale, le carceri delle «Murate».
«Non siamo angeli!», affermazione che si può ritrovare anche negli articoli di questo numero. In effetti i fiorentini non sono angeli (peraltro non ci tengono certo a essere considerati tali!), almeno nel senso che il loro lavoro, fatto in pochi mesi e che ha rimesso in piedi la città, gradiscono che sia ricordato almeno insieme con quello degli «angeli del fango», periodicamente privilegiati nella comunicazione, soprattutto quella politica.
«Siamo ancora a rischio?». Firenze (e la Toscana) lo sono ancora? Quanto? Che tipo di rischi corriamo? Per le persone, per i beni culturali, per le attività produttive ed economiche, le infrastrutture e i beni immobiliari? Oggi, nel cinquantennale, cosa possiamo dire?
Questo numero di «Testimonianze» si propone di presentare la memoria di quegli eventi e anche di qualche alluvione più recente, come quella della Versilia del 1996, di cui ricorre il ventennale, e quella dell’Ombrone del 2012.
Per quanto riguarda la memoria, questa è probabilmente l’ultima occasione di raccogliere, in modo sistematico e sufficientemente completo, le testimonianze, i documenti, le fotografie. Le memorie di questo numero sono dedicate soprattutto ai cittadini di Firenze e della Toscana alluvionati del 1966 e agli «angeli del fango» che li hanno aiutati, ma sono anche proposte ai più giovani che non hanno vissuto queste esperienze ma che le devono conoscere per essere attrezzati per il futuro, che sarà inevitabilmente popolato di altri eventi catastrofici. La memoria serve soprattutto a chi le alluvioni non le ha ancora conosciute.
Questo numero si propone anche, in una logica di accountability, di chiedere alla politica e all’amministrazione, all’università e alla ricerca di render conto di quello che è stato fatto in questi anni in forma sintetica e comprensibile ai non addetti ai lavori. Tutti gli «addetti ai lavori» hanno prontamente risposto alla proposta della rivista e hanno mandato i loro contributi dando dimostrazione di trasparenza e di pubblico servizio.
Le risposte alle affermazioni precedenti e all’accountability che si possono trovare in questo numero sono diverse a volte contraddittorie fra loro. Questo è inevitabile perché l’argomento suscita emozioni e sensibilità diverse anche per i differenti ruoli degli autori.Ed è poi inevitabile perché «Testimonianze» è una rivista appunto di testimonianza del pensiero e del dibattito politico culturale che vive solo nella pluralità delle opinioni.
Il Comitato «Firenze2016» – «Toscana2016»
Nel maggio 2012 Elvezio Galanti, del Dipartimento della Protezione Civile, chiese agli «idraulici» del dipartimento di Ingegneria civile e ambientale dell’Università degli Studi di Firenze di collaborare con l’Opera di Santa Croce per la messa in sicurezza del Cristo del Cimabue. Infatti, a 46 anni dall’alluvione, il Cristo, restaurato da tempo dall’Opificio delle Pietre Dure, era ancora appeso a una carrucola arrugginita e nemmeno rispettosa delle norme di sicurezza per gli eventuali operatori, che poi avrebbero dovuto essere i frati francescani della Basilica. Ci si accorse allora che mancavano «solo» quattro anni al cinquantennale. Che sarebbe stato diverso da tutte le altre periodiche celebrazioni delle ricorrenze. Di questo fu informato il Rettore Alberto Tesi che decise di proporre alla Città e alle sue istituzioni di cominciare a pensare all’anniversario che avrebbe visto su Firenze gli occhi dei cittadini ma anche del mondo. In un convegno a novembre 2012 il rettore Tesi propose di costituire il Comitato di Coordinamento del Progetto «Firenze 2016» e nel marzo 2013 il Comitato fu costituito con i rappresentanti di oltre trenta enti e istituzioni pubbliche, non solo fiorentine e toscane. Oggi il Comitato comprende circa cinquanta enti e istituzioni pubbliche e inoltre, al Progetto «Firenze2016», hanno aderito circa trenta istituzioni e associazioni private. Nei primi due anni il Comitato è stato presieduto da Mario Primicerio. Dopo le elezioni del Comune di Firenze nel 2014 la presidenza del Comitato fu assunta dal sindaco di Firenze Dario Nardella e, dopo le elezioni regionali del 2015, il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi assunse la co-presidenza. Mario Primicerio assunse la carica di vicepresidente. Questo ha dato al Progetto la necessaria piena dimensione regionale. Infatti i tre quarti delle aree di pianura della Toscana furono alluvionate nel 1966. Anche questo numero di «Testimonianze» coglie pienamente la dimensione toscana, estendendola non solo a tutto il bacino dell’Arno ma anche alla Maremma e alla Versilia con il ricordo dell’alluvione del 1996.
In questi tre anni molti componenti del Comitato di Coordinamento hanno lavorato per cercare di rispondere alle affermazioni di cui sopra, nella logica di render conto di quanto è stato fatto e di cosa resta da fare. E hanno anche cercato di fare cose che non erano state fatte, sia dal punto di vista dell’idraulica e della riduzione del rischio che nel restauro delle opere d’arte alluvionate. Sotto quest’ultimo aspetto l’Opificio delle Pietre Dure completerà il restauro dell’ultima grande opera alluvionata rimasta, l’Ultima cena di Giorgio Vasari, che peraltro era stata alluvionata altre due volte e due volte restaurata. Non è stato possibile farlo prima perché non erano disponibili tecniche adeguate che sono state trovate con la ricerca e la sperimentazione. La resilienza, come si dice oggi, di quest’opera è veramente notevole. Reggerebbe a un’altra alluvione?
Anche dal punto di vista delle documentazione e dell’analisi scientifica dell’alluvione e delle sue conseguenze sulla Città non c’è stata particolare attenzione negli ultimi decenni. Questo numero speciale cerca, con numerosi e vari contributi, anche di riferire delle attività di ricerca realizzate in questi tre anni da parte di vari componenti del Comitato «Firenze2016 » e dei lavori in corso. Segnalo in particolare il lavoro di ricerca dei nostri quattro borsisti Ciliberti, Coco, Foraboschi e Giudici che presentano in questo numero i loro programmi di ricerca che contribuiranno a colmare le carenze di documentazione di analisi che ancora rimangono della «Grande Alluvione». Un contributo importante per sviluppare la ricerca è stato anche il convegno L’acqua nemica, organizzato nel gennaio 2015 da Concetta Bianca e Francesco Salvestrini che è in corso di pubblicazione nella rivista «Medioevo e Rinascimento» dell’Università di Firenze. In essa sono stati presentati importanti contributi sulle alluvioni storiche e sulla ricerca umanistica in questo settore. Per questa ragione potete vedere solo un annuncio del numero della rivisita, alla quale si rimanda.
La memoria dell’alluvione
La cronaca dell’alluvione si può ritrovare in molti libri citati in bibliografia. Per una informazione sintetica e complessiva va bene anche Wikipedia dove si può trovare anche l’elenco delle 35 vittime dell’alluvione nel bacino dell’Arno. Nel bacino dell’Ombrone si ebbe una vittima. A Firenze ci furono 17 vittime, in parte prevalente di persone con scarsa mobilità, o che cercavano di salvare le loro cose o di rimanere sul posto di lavoro, come il dipendente del Comune di Firenze Carlo Maggiorelli all’impianto di potabilizzazione dell’Anconella. Nella notte fra il 3 e 4 novembre ci furono 7 vittime a Reggello, per una frana innescata dal torrente Resco, un evento poco presente nelle ricorrenze degli eventi del 1966 e che potete leggere nel ricordo di Sandro Bennucci.
Le memorie personali in questo numero sono numerosissime, spesso commoventi e di approfondimento di cosa abbia significato per chi l’ha vissuta questa tragica esperienza, sia a livello personale che per le trasformazioni della città e della Toscana. Si sottolineano solo alcuni aspetti, rimandando poi ai testi.
Mario Primicerio nella sua intervista chiarisce gli avvenimenti politici e sociali del 1966 e traccia un bilancio di cosa è stato fatto in questo mezzo secolo. Il clima politico e culturale pre e post alluvione è poi ben descritto da Mauro Sbordoni e in altri interventi. Numerosi sono i contributi sugli «angeli del fango». Emergono sottolineature diverse che sono riscontrabili anche dalle interviste che stiamo facendo e dalla recente stampa. Emerge a volte un certo fastidio per la retorica e per l’uso «politico» che ne è stato fatto. Nel pezzo di Quercioli vengono ricordati con il titolo Non siamo angeli le osservazioni e la poesia di Sergio Milani a cui si rimanda. Analisi approfondite sono presentate da Anna Iuso e da altri. Le testimonianze degli «angeli» sono invece meno numerose ma continueremo a raccoglierle nei prossimi mesi, quando torneranno a Firenze. Da segnalare quella di Claudia Petrucci che arrivò, nella seconda ondata, da Genova e quella di Silvia Costa, ora presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo, che non venne a Firenze, ma fu mandata dal preside dalla sua scuola a Roma a pulire i libri della Biblioteca Nazionale portati all’Archivio di Stato della Capitale. Dunque c’erano «angeli del fango» non solo a Firenze. In diversi contributi viene presentato il punto di vista di molti fiorentini che avevano in pochi mesi rimesso in piedi la città. Gli straordinari esempi di solidarietà degli «angeli» della Biblioteca Nazionale, che, come disse Ted Kennedy, «Accorsero perché sentirono che correvano il rischio di perdere con i libri la loro anima», non intervennero in tutta la città e nell’area fiorentina. Firenze la rimisero in piedi anche i fiorentini, le Forze Armate, i Vigili del Fuoco, ultimi ad andarsene. Lo spirito di numerosi fiorentini è ben espresso dall’attore Carlo Monni in un video su Youtube a cui si rimanda.
Anche la comunità israelitica fiorentina soffrì con l’alluvione, come testimonia il titolo della «Nazione»: I rotoli della legge danneggiati alla Sinagoga. Migliaia di testi colpiti, in particolare 90 sefarim e oltre 15mila volumi della biblioteca del Collegio rabbinico. Grazie alla determinazione e alla generosità dei volontari fu possibile salvare un ingente quantitativo di libri, tessuti, antichi arredi custoditi nei locali comunitari. Un patrimonio di memorie che potrà essere di nuovo fruibile dalla comunità fiorentina, cinquant’anni dopo, proprio nel giorno in cui ricorre l’anniversario dell’alluvione, in una Mostra promossa della «Fondazione Beni Culturali Ebraici» insieme alla Biblioteca Nazionale di Firenze.
Gli «angeli del fango» ci sono stati, con le dovute proporzioni, anche a Grosseto sia nell’alluvione del 1944 che in quella del 1966 e salvarono i libri, come descritto nel contributo di Lucio Niccolai. Quelli di oggi operano non solo per la salvezza dei beni culturali ma per una solidarietà umana per le persone, per la «resilienza» delle nostre comunità alle prove del futuro. Un altro bell’esempio di solidarietà internazionale è quello del Bosco degli Svizzeri, piantato nel 1967 dagli studenti di Ingegneria Forestale del Politecnico di Zurich e descritto nel contributo di Piero Piussi e di Giampiero Wirtz. Completeremo nel prossimo numero della rivista e sul sito di «Testimonianze» i ricordi dei protagonisti di quegli eventi con numerose interviste che non siamo riusciti a mettere in questo numero per problemi di spazio. Vogliamo qui ricordare alcune figure importanti ma forse dimenticate: fra tutte, quelle di Giovanni Pieraccini, primo ministro del Governo Moro dell’epoca ad arrivare con Enrico Mattei, direttore della «Nazione», a Firenze nel pomeriggio del 4 novembre e che entrò in gommone a Palazzo Medici Riccardi per incontrare il prefetto con la piena che ancora saliva; di Franco Zavattaro, comandante della squadra degli Incursori della Marina del Varignano che arrivarono già dal pomeriggio del 4 novembre a Firenze e che fu insignito, lui e la sua squadra, con la Medaglia d’argento; di Mario Carbone che con il suo documentario con testi di Vasco Pratolini e voce di Giorgio Albertazzi rappresentò per il pubblico italiano quello che il film di Zeffirelli con Richard Burton e testi di Furio Colombo ha rappresentato per la comunità internazionale.
Un aspetto da sottolineare, che questo numero cerca di chiarire, è costituito dalle «leggende metropolitane» sull’alluvione che ci hanno accompagnato in questi anni, dovute anche ad inesattezze ed imprecisioni della comunicazione. Una di queste, che viene affrontata nei contributi di Beccastrini Becchi e Chiarini, riguarda la questione del ruolo che ebbero le dighe dell’Enel di Levane e di La Penna durante la piena. Il racconto di Beccastrini delle alluvioni in Valdarno presenta queste «leggende», come furono vissute e come si cercò il colpevole, che, dopo il Vajont, fu facilmente trovato nelle opere artificiali e nelle responsabilità degli uomini che le gestivano. Il processo giudiziario sul ruolo delle dighe durò anni e assolse pienamente i tecnici dell’Enel dall’accusa di aver concorso all’alluvione. Gli avvenimenti sono ben chiariti negli articoli segnalati ma, tuttavia, anche di fronte all’evidenza dei dati, rimane da decenni il pregiudizio nei confronti delle dighe. Come dimostra quello di Bilancino, i serbatoi sono una delle poche soluzioni per risolvere i problemi indotti da piogge che sono oggi al contempo in fase di riduzione ma più intense quando si verificano. Accumulare acqua sia per far fronte alla siccità che alle precipitazioni sempre più intense è una delle poche soluzioni che abbiamo per affrontare le variazioni climatiche in atto. Da rilevare in Beccastrini anche l’annuncio, la mattina del 5 novembre, fatto dalle forze dell’ordine con auto e megafoni del crollo della diga di Levane, che generò allarme non solo in Valdarno ma anche a Firenze, addirittura a Ponte a Ema, come riportato in una intervista recente che abbiamo fatto alla Casa del popolo di quella località.
Un altro aspetto della memoria, che non è stato possibile affrontare per le caratteristiche di «Testimonianze», è quello delle fotografie dall’alluvione. I fotografi fiorentini Giorgio Lotti, Alinari, Locchi, Italfotogieffe, e altri hanno ben documentato in bianco e nero l’alluvione. Ad ogni anniversario poi ci sono raccolte promosse dai giornali e da varie associazioni. Ci sono mostre fotografiche. Una iniziativa che merita di essere sottolineata è quella dell’Archivio Storico del Comune di Firenze che Luca Brogioni illustra. Nell’Archivio è possibile conservare per sempre non solo le foto ma le memorie dell’alluvione che i cittadini raccontano. Il Comitato «Firenze2016» e l’Archivio stanno raccogliendo storie ancora inedite con interviste ai cittadini sia per conservarle che per la ricerca di sociologia urbana sulla resilienza passata e futura di Firenze, illustrata da Lorenzo Giudici. Anche in questo caso stanno emergendo documenti e memorie inedite. Ad esempio il fotografo americano Joe Blaustein ha regalato all’Archivio di recente 102 foto a colori fatte con pellicole di alta qualità che nel 1966 erano poco comuni in Italia. È così possibile vedere l’alluvione con i colori a cui siamo abituati oggi. Una parte delle foto è stata pubblicata da AB Edizioni in I colori dell’alluvione nel 2015.
La solidarietà internazionale
La Città si rialzò in pochi mesi anche con aiuti immediati provenienti da tutto il mondo. Questo permise al sindaco Bargellini, accompagnato dalla figlia Antonina di cui potete leggere il ricordo, di andare a marzo del 1967 in varie città negli Stati Uniti a ringraziare per gli aiuti ricevuti e dire che a Firenze si poteva tornare, che la città era risorta. Oltre sessanta paesi e varie associazioni pubbliche e private aiutarono Firenze in vari modi anche negli anni successivi al 1966, ad esempio nel lavoro di restauro delle opere d’arte. Marco Ciatti ricorda come restauratori di tutto il mondo giunsero a Firenze chiamati da Ugo Procacci. Il mondo rispose con generosità: l’UNESCO creò un apposito fondo, CRIA (Committee to Rescue Italian Art), per aiutare le due città colpite in quel novembre dall’alluvione, Firenze e Venezia. A Firenze giunsero circa 150 restauratori da tutto il mondo per prestare il loro contributo in questa circostanza, provenienti da ben 17 diversi paesi. Ma ci furono aiuti anche per le aziende toscane. Bianucci nel suo contributo ricorda il caso di ANIBO. L’«Associazione Nazionale Italiana Buying Offices» si fece tramite per una raccolta di somme presso aziende statunitensi che intendessero finanziare la ripresa di circa 300 imprese artigiane alluvionate che non disponevano di mezzi propri necessari per poter ricominciare a lavorare. L’espressione forse più commovente di solidarietà fu quella della popolazione del villaggio di Aberfan, nel Galles. Il 21 ottobre del 1966, a causa delle precipitazioni, i detriti di una miniera franarono su una scuola uccidendo 116 bambini e 28 adulti: si salvarono, di quella generazione, solo i bambini che erano rimasti a casa. Alla notizia dell’alluvione a Firenze, i giovani di Aberfan formarono un comitato per raccogliere indumenti infantili, giocattoli e coperte. Glyn Phylips, proprietario di una società di taxi della vicina città di Aberdare, mise a disposizione per il trasporto un minibus, che guidò egli stesso fino a Firenze. Nel prossimo autunno verranno ringraziati tutti quelli che hanno aiutato Firenze e la Toscana con vari eventi.
La scuola, i giovani e gli «angeli 4.0»
Negli ultimi anni sono state fatte nella scuola molte attività didattiche sul tema dell’acqua, incentrate soprattutto sull’acqua come risorsa. Minori sono stati gli interessi in riferimento alle alluvioni. La Protezione Civile Nazionale con la campagna Io non rischio ha contribuito recentemente ad attivare anche questa informazione e formazione nelle scuole. Nel contributo di Vallario vengono illustrate le attività che il Progetto «Firenze2016» sta attivando in una collaborazione con la scuola finalizzata alla messa a punto di contenuti formativi organizzati in un Kit Scuola. Si tratterà di una offerta formativa «aperta» ad interventi integrativi, personalizzata da parte delle scuole che vorranno adottarla, sviluppata secondo il paradigma delle Open Educational Resources (OER), facilmente trasferibile, basata su tecnologie multimediali ed e-learning. Il Kit Scuola affronterà temi afferenti alla protezione civile ed autoprotezione, cultura della solidarietà, rapporto corretto con l’ambiente, attenzione al patrimonio culturale, fattori strutturali di resilienza, raggiungimento di target numerosi ed eterogenei di studenti, famiglie, personale insegnante. Ma l’attività distintiva che ha già prodotto significativi risultati, collegata all’anniversario dell’alluvione del 1966 e alla sua documentazione, che potete trovare in questo numero, è quella raccolta dal Liceo scientifico «Il Pontormo» di Empoli, il Liceo scientifico «L. Da Vinci» di Firenze, dall’ITI di Manciano, dall’ITE e dal Liceo scientifico «E. Balducci» di Pontassieve. Le ragazze e i ragazzi hanno intervistato nonni, vicini di casa, conoscenti vari e hanno raccolto le loro memorie e le hanno studiate e documentate. Il Comitato «Firenze2016» – «Toscana2016» ha promosso, insieme all’Ufficio Scolastico Regionale e alla Fondazione «Idana Pescioli» un bando di concorso fra gli allievi delle classi 4 e 5 delle scuole elementari della Toscana per disegni sul tema delle alluvioni. Questa iniziativa si collega a quello che la prof.ssa Idana Pescioli fece nel 1966 raccogliendo i disegni dei bambini alluvionati di Firenze, che furono poi pubblicati dalla Nuova Italia in un bellissimo libro nel 1967. Il bando è stato esteso a tutta la Regione Toscana essendo le alluvioni degli ultimi anni verificatesi in numerose aree della Regione. È infine da sottolineare come la memoria del 1966 venga riproposta ai giovani e a chi non l’ha vissuta come «Memoria Viva», un progetto descritto nel contributo di Bianucci che si propone, anche attraverso un «Museo Virtuale», di riproporla come esempio positivo della resilienza, della solidarietà, della condivisione, della socialità per gli «angeli 4.0», cioè per quelli che dovranno affrontare le prossime catastrofi, e non solo naturali.
Ma il rischio è aumentato o è diminuito?
Il rischio idraulico di Firenze e delle altre aree della Toscana è aumentato o diminuito in questi anni? Limiteremo la questione a Firenze e alla sua area metropolitana di pianura, che andò praticamente tutta sottacqua nel 1966.
L’Autorità di Bacino dell’Arno nel Piano Difesa dalle alluvioni del 2015 indica che l’area metropolitana a Sud del centro storico di Firenze è ad alta pericolosità idraulica (probabilità che si verifichino delle alluvioni). Il centro storico è in gran parte valutato a media pericolosità. Se si passa al rischio idraulico, che sono i danni che queste alluvioni possono produrre, sempre la stessa Autorità in uno studio fatto con il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Firenze valuta in circa 6 miliardi di Euro i danni per i soli beni edilizi e commerciali nel centro storico. Sono esclusi i danni ai beni culturali e la perdita di vite umane, che chissà perché, non erano valutati nei primi piani di bacino. Solo nel Piano Difesa delle alluvioni del 2015 questi aspetti sono finalmente considerati. I danni all’area metropolitana complessiva sono stimati in modo molto approssimativo ad una ventina di miliardi di Euro per una alluvione del tipo del 1966. Su cosa sia stato fatto o completato in questi cinquant’anni per ridurre la pericolosità, l’elenco è purtroppo smilzo: il serbatoio di Bilancino, fondamentale per la regimazione della Sieve a fini idropotabili riduce del 3-4% la pericolosità a Firenze, essendo collocato nell’Alta Sieve. Delle 4 casse di espansione del Piano di Bacino del 1999 previste in Valdarno, solo quella di Prulli (circa 5 milioni di metri cubi) dovrebbe essere completata nell’anno 2016. La novità rispetto all’inerzia degli anni precedenti è che anche le altre 3 casse sono state finalmente finanziate nel 2015 dal Governo (Grassi, Nardella, Rossi, D’Angelis, Massini). Potete leggere opinioni e certezze diverse su quando saranno pronte e sulla difficoltà di realizzazione (Tilli). L’altra opera di riduzione della pericolosità è l’intervento sull’innalzamento della diga di Levane, che dovrebbe essere finanziato a breve e di cui l’Enel ha realizzato il progetto esecutivo nel 2015. Si valuta che l’innalzamento, se finanziato subito, potrà essere realizzato in 6-8 anni e consentirebbe di invasare altri 10 milioni circa di metri cubi. Questi interventi, fra qualche anno, sarebbero in grado di accumulare volumi di piena di circa 40 milioni di metri cubi riducendo in modo significativo la pericolosità idraulica di Firenze e dell’area metropolitana. I volumi in gioco nella piena del 1966 furono di circa 500 milioni di metri cubi. Sull’adeguatezza di queste stime e previsioni ha dubbi l’ITSC – International Technical Scientific Committee – costituito nel 2014 e incaricato dal Sindaco Nardella di svolgere una valutazione indipendente su quanto è stato fatto e su quanto secondo questi esperti internazionali si dovrebbe fare. Si riporta in questo numero integralmente il secondo rapporto dell’ITSC, che completerà il suo lavoro a fine anno 2016. Resta il fatto che a novembre 2016 sarà stata forse completata un’unica cassa di espansione nel Valdarno. Forse, per il sessantesimo (2026), saranno disponibili con gli interventi i sopra ricordati 40 milioni di metri cubi invasabili, che l’ITSC (ma anche il Piano di Bacino del 1999) considera inadeguati a proteggere Firenze da piene del tipo di quella del 1966. Sono stati fatti piani di bacino sempre più accurati e coerenti con le direttive europee sulle alluvioni, ma ad oggi non sono stati realizzati in riferimento alle opere strutturali. ITSC sottolinea la necessità di rivedere la pianificazione, i tempi e i modi di intervento per dare a Firenze quella priorità di provvedimenti che è stata data a Venezia e che ancora manca al capoluogo toscano. Un altro suggerimento che l’ITSC ha dato, fin dal suo primo rapporto nel 2014, è stato di studiare in modo più adeguato l’Arno, almeno nel suo tratto urbano, sia in termini di misura delle portate solide e liquide che di modellistica. In particolare aveva suggerito di realizzare un modello fisico per studiare delle soluzioni nuove di riduzione della pericolosità analoghe alle uniche efficaci realizzate negli anni 70 con l’abbassamento delle platee di Ponte Vecchio e ponte a Santa Trinita e l’innalzamento delle spallette. Questo intervento, infatti, è l’unico intervento significativo che ha ridotto la pericolosità del centro storico della città. È riportato il contributo di Aldo Buoncristiano, prefetto a Firenze dal 1973 al 1977, che ebbe un ruolo importante nella decisione di realizzare questa opera, che era notevolmente ostacolata o trascurata dalla burocrazia ministeriale. Il progetto fu studiato dall’Università di Bologna nel 1970, proprio con un modello fisico del fiume, come ricordato in questo numero. Troveremo nell’anno del cinquantesimo un politico, un prefetto, un amministratore che capisca il rischio che Firenze ancora corre e che operi con maggiore decisione per ridurlo come fece il prefetto Buoncristiano?
Nell’ambito del Progetto «Firenze2016», l’Università di Firenze e il CERAFRI, con il contributo di «Publiacqua», dell’Autorità Idrica Toscana, del Consorzio di Bonifica Medio Valdarno e del Comune hanno operato negli ultimi due anni nella direzione di colmare le lacune nella conoscenza del fiume (intervento di Enio Paris et al). Questi studi hanno fra l’altro permesso di individuare gravi problemi di erosione delle pile del ponte Vespucci in riva sinistra, che hanno prodotto un intervento di emergenza per verificare la sicurezza del ponte (gennaio 2016). Se la pericolosità non è sostanzialmente diminuita e lo sarà in una forma significativa fra qualche anno con le casse e con l’innalzamento della diga di Levane, il valore dei beni economici nelle aree a rischio è molto aumentato sia a Firenze che nell’area metropolitana. Allora possiamo dire che il rischio idraulico, economico, alle infrastrutture e alle abitazioni è molto aumentato. Il danno ai beni culturali sarebbe in una certa misura ridotto perché molti beni spostabili sono stati messi in sicurezza. Ma rimangono le statue, la città con i sui monumenti. Il danno alle vite umane invece si suppone di eliminarlo o di contenerlo con attività di protezione civile. È in effetti questo il grande miglioramento rispetto al 1966, ben descritto nel contributo di Postiglione. Firenze ha oggi un moderno Piano di Protezione Civile, ma questo vale per tutti i comuni dell’area metropolitana? In alcuni articoli è affrontato il tema dell’allarme non dato nel 1966 e ad essi si rimanda.
Ma la domanda è: i cittadini seguiranno i piani di protezione civile? Li conoscono? Firenze è abitata in modo molto diverso da allora. Sono diversi i cittadini, oggi ci sono gli immigrati, i turisti etc. Ci sono strumenti tecnologici che consentono di organizzarsi autonomamente sull’informazione e sulle regole di comportamento. Il Piano di Protezione Civile di Firenze tiene già conto di questi aspetti, nell’ambito degli importanti progetti in corso di Smart City che il Comune sta realizzando con la collaborazione dell’Università di Firenze. Nei contributi di Mazzei, Bottino, Perini, Ercolini, Alberti e Massa e altri il necessario rispetto dell’acqua si estende dalla sua pericolosità, al suo utilizzo come risorsa, nella prospettiva di una sua gestione ormai inevitabilmente da collegare all’energia, al cibo, alla dimensione globale della sua gestione, con il concetto di acqua virtuale e con i cambiamenti climatici, alla migliore gestione e fruibilità degli ecosistemi fluviali.
La conservazione, il restauro, la documentazione, l’innovazione
Quello che Firenze ha fatto, con l’aiuto del mondo, per rimediare ai danni dell’alluvione ai beni culturali è straordinario ed è motivo di grande orgoglio. Negli articoli di Acidini, Ciatti, Guasti, De Micheli, Maccabruni si ripercorrono le vicende del restauro dei libri, dei dipinti e degli affreschi. Con il finanziamento dell’«Ente Cassa di Risparmio», il Comitato ha potuto assegnare 3 borse di studio per documentare questo lavoro e potete trovate nei pezzi di Foraboschi, Coco, e Ciliberti cosa questi borsisti stanno studiando in riferimento alle opere restaurate dall’OPD, al censimento delle foto del Gabinetto fotografico degli Uffizi, alla Bibliografia dell’alluvione che è già consultabile nell’articolo di Ciliberti e Di Renzo. Il grande lavoro di conservazione e restauro di questi anni ha fatto diventare Firenze e la Toscana la capitale del restauro a livello mondiale, con un ruolo riconosciuto ancora oggi e con la ricaduta sul sistema produttivo di notevolissimo rilievo per l’economia regionale. Nell’articolo di Salvatore Siano è sottolineato questo aspetto molto importante, in cui l’alluvione ha prodotto importanti scoperte scientifiche, innovazione produttiva e lavoro. Purtroppo questa cultura e pratica del restauro mentre ha trovato nell’imprenditoria, nell’università e nel CNR uno sbocco molto positivo, ha visto progressivamente ridursi il personale delle istituzioni pubbliche che operano nella conservazione e nel restauro. Le carenze di personale e di fondi dell’Opificio delle Pietre Dure, della Biblioteca Nazionale, dell’Archivio di Stato, delle Soprintendenze e dei Musei stanno facendo perdere un primato che Firenze aveva acquisto come conseguenza dell’alluvione. Recentemente il MIBACT ha assegnato, dopo molti anni, finanziamenti per invertire la dispersione di ricchezza, di conoscenza e di competenza prodotta dalla disgrazia, che dovrebbe essere invece una risorsa su cui puntare. La produzione scientifica e culturale Anche la produzione scientifica e culturale negli ultimi vent’anni è stata ridotta e su alcuni temi è assente. I libri degli ultimi anni sono di riproposizione della cronaca e hanno riguardato soprattutto l’Arno in generale e il ricordo degli «angeli del fango», molto valorizzati nella comunicazione politica. La produzione artistica, musicale, teatrale è stata modesta rispetto all’importanza dell’evento. Per la musica sono da segnalare gli stornelli di Dino Ceccarini e le canzoni di Riccardo Marasco, recentemente scomparso. Manca purtroppo a Firenze quello che De Andrè ha regalato a Genova alluvionata nel 1970, la magnifica Dolcenera. Nel contributo di Niccolini è annunciata l’unica opera teatrale scritta sull’alluvione, rappresentata alcune volte nel 2006 e che oggi viene rivista e presentata con il titolo Il filo dell’acqua. Recitata dalla Compagnia «Arca Azzurra», è previsto sia programmata nei prossimi mesi nei teatri dei vari comuni alluvionati in Toscana e anche fuori regione.
Appare, in conclusione, evidente la necessità di ripensare a come ridurre finalmente la pericolosità e non solo gestire il rischio idraulico di Firenze e del bacino dell’Arno, tenendo conto certo delle nuove condizioni climatiche, economiche e sociali ma stabilendo delle priorità nelle strategie di intervento anche con opere strutturali. La carenza di risorse economiche e in generale la difficoltà a gestire i sistemi sociali e ambientali da parte della politica e dell’amministrazione ha reso popolare da qualche anno la parola «resilienza », che si usa quando le cose vanno o cominciano ad andare male e si chiede ai cittadini di attrezzarsi autonomamente per far fronte alle calamità. I fiorentini e gli altri alluvionati del 1966 hanno reagito allora con determinazione e coraggio. Saranno «resilienti» anche alle prossime alluvioni? Le prossime alluvioni potranno assumere forme anche diverse da quelle storiche. Firenze è stata inondata una sessantina di volte negli ultimi ottocento anni. Le caratteristiche del bacino ne rendono inevitabili delle altre anche gravi secondo le tipologie
storiche. Ci sono però delle variazioni climatiche, negli ultimi decenni, che fanno pensare possibili scenari di precipitazioni che potrebbero produrre delle piene anche più gravi sull’asta principale dell’Arno, dell’Ombrone, del Magra o sui loro affluenti e sui corsi d’acqua minori. Viene attribuito convenzionalmente all’alluvione della Versilia del 1996 il segnale del «cambiamento climatico», quello delle «bombe d’acqua», poi ripetutosi con frequenza crescente negli ultimi anni anche su aree vaste, come l’alluvione in Maremma del 2012. Nel contributo di Baldi et al viene ricordato l’evento del 1996 e il «Modello Versilia», esempio di «resilienza perfetta».
Ma le condizioni economiche e sociali del post 1966 e del post 1996 permisero di affiancare alla solidarietà delle persone, delle Forze Armate, dei Vigili del Fuoco e del volontariato anche robuste risorse economiche che generarono una rapida ripresa. Oggi, dove sarebbero le risorse per far fronte a danni e risarcimenti di miliardi di euro necessari a una rapida ripresa dopo una alluvione a Firenze, anche di dimensione minore di quella del 1966? Ci sarebbe la stessa solidarietà internazionale di allora in un mondo che ha continue emergenze economiche, politiche e sociali? E ci sarebbe la coesione sociale che espressero le parrocchie e le case del popolo di allora, con persone che avevano ricostruito dopo la guerra i ponti e la città?
Nel corso del 2016 le comunità cittadina, regionale, nazionale ed internazionale si interrogheranno sulle domande poste all’inizio. In questo numero sembra emergere come negli ultimi anni ci sia stato un miglioramento nel rispetto dell’acqua, inteso come maggiore attenzione alla sua pericolosità e maggiore cura alla sua salvaguardia. Si può affermare che le politiche nazionali e regionali, i Piani di Bacino, il Servizio Idrico Integrato, i Consorzi di Bonifica, la Protezione Civile stanno intervenendo in modo sempre più coordinato per affrontare i problemi. Ma il miglioramento in corso è adeguato o è necessario accelerare? Resta il fatto che ai fiorentini e alle comunità nazionale ed internazionale è difficile capire come in cinquant’anni si sia fatto così poco per Firenze. Com’è stato possibile? Non è il momento di una svolta?