LE GIOVANI SPERANZE DI UN «VECCHIO CONTINENTE»
di Severino Saccardi
Sfiancata dalla crisi economica e messa di fronte alle grandi sfide «globali», l’Europa è a un bivio: rassegnarsi al declino o riscoprire le motivazioni profonde della scelta unitaria, dando voce ai popoli e attribuendo un reale peso politico alle istituzioni comunitarie. È un fatto, oltre che una speranza, che il suo futuro sia affidato, comunque, alle nuove generazioni, che soffrono precarietà e ingiustizie, ma che vivono esperienze nuove e che sono aperte ad una mentalità naturalmente «europea».
Combattere la paura e capirne le ragioni
Scrivo mentre un’onda di dolore giunge dalla Turchia per lo «scialo di morte» provocato dall’attentato contro una manifestazione pacifista. Intanto, in Israele-Palestina è in pieno svolgimento l’Intifada dei coltelli, dei disperati e delle vittime innocenti. In Siria, in Libia e in Iraq la situazione resta fuori controllo, mentre fiumane di esseri e destini umani continuano a riversarsi sull’Europa, sul fianco Est e dalla sponda Sud. Tutti eventi, o elementi di crisi, che hanno origine o sono collocati fuori dall’Europa. Ma dei quali l’Europa non può non (pre)occuparsi. «I care», avrebbe detto don Milani. E non, in questo caso, per un semplice (e lodevole) soprassalto etico o umanitario, ma per realismo politico. In primo piano c’è la questione (v. tra gli altri, Sbordoni e Bigalli) dei profughi e dei migranti con la loro drammatica e speranzosa transumanza verso la «terra del latte e del miele» (Heller). Un fenomeno che va accolto e governato.
Su questo è stato uno scatto da statista il «passo della Cancelliera» (Apel e Meggiolaro), che ha mandato un chiaro messaggio: del problema dell’accoglienza l’Europa unita deve pur farsi carico. Bisogna, però, anche capire perché nel «cuore dell’Europa» (Goldkorn), cioè del continente che ha scardinato i muri, così forte sia la tendenza ad alzare barriere contro i nuovi arrivati. Vanno combattute diffidenza, ostilità e paura. Ma ha una sua fondatezza quel che scrive Aldo Cazzullo sul «Corriere della sera», sostenendo che bisogna «(…) rispettare la paura ed eliminarne le ragioni». L’Europa deve, cioè, ricordarsi di essere la terra della cultura dei diritti, ma deve anche saper coniugare un’aperta politica di accoglienza e inclusione con la tutela della sicurezza (che non è termine da lasciare alla propaganda xenofoba e populista). Ma non è solo in relazione all’epocale questione delle migrazioni che il «vecchio continente» è nell’occhio del ciclone. Tormentata, all’interno, dalla crisi economica e dall’inasprimento delle disparità sociali, lacerata dall’emblematica «questione Grecia», indebolita nei suoi riferimenti ideali e incerta nelle sue prospettive politiche, l’Unione Europea, ha il suo banco di prova soprattutto in relazione alle grandi questioni internazionali.
Radici mediterranee
Se dimentica (Leila el Houssi) le sue radici mediterranee, se non sa interloquire con l’inquieto universo del mondo arabo africano, se non ha voce in capitolo in relazione alle crisi mediorientali, la «vecchia» Europa, abituata ad un ruolo di «centralità», almeno culturale, rischia di andare incontro ad un inedito destino di marginalità. La rotta per navigare nelle tempeste dei nostri tormentati anni duemila non la si ritrova, comunque, con le ricette dei nuovi movimenti populisti che hanno buon gioco nel criticare la siderea lontananza dell’«euroburocrazia» dal sentire della gente comune ma, al contrario, con l’adozione di una politica che sappia ridare nuovo vigore alla storica linfa vitale della scelta europeista. Non è di poco conto, il cammino compiuto. Popoli che storicamente si sono combattuti durante il «secolo breve» e Paesi che erano divisi dai muri della Guerra fredda fanno riferimento alle stesse istituzioni comunitarie e appartengono, ora, allo stesso focolare. Certo, urge il tempo di nuove scelte: riscoprire il senso della vocazione e delle scelte unitarie, dare nuova voce ai popoli, conferire vera forza politica alle istituzioni europee. Questo chiedono le emergenze e le sfide di un mondo sempre più interdipendente e sempre più segnato da dolorose contraddizioni. L’Europa, storicamente lacerata da sanguinosi conflitti, può essere interprete di un inedito protagonismo, connotato da una fondamentale vocazione di pace. Non mancano, nella sezione dedicata alla Società civile, interventi (Giusy Rossi, Coser, Setti, Rinaldi, Scamardella) sulla realtà delle nuove generazioni di cittadini europei. Giovani che vivono molte incertezze e contraddizioni e non poche ingiustizie. Ma che hanno, anche, una mentalità aperta, parlano le lingue, viaggiano, stringono rapporti con ragazzi e ragazze di lingua e nazionalità diversa dalla loro. Sono loro, le giovani speranze su cui può contare, per cimentarsi con le prove del «mondo globale», il nostro «vecchio continente».