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Sarkozy e i Rom: un vuoto di prossimita’?
di Mose’ Carrara Sutour

I provvedimenti attuati in Francia per il rimpatrio forzato in Romania di alcuni gruppi di rom, nascondono, con la pretesa veste dell’efficienza amministrativa, la profonda difficoltà a rapportarsi con l’altro e la riproposizione di antichi pregiudizi. Sono il prodotto finale di un processo di rimozione e allontanamento, culturale e mentale prima ancora che fisico.

Come uno stupefacente
Ricorrere alla xenofobia è come dipendere da uno stupefacente, di cui sono noti l’abuso nei momenti di crisi così come gli effetti deleteri sul corpo (in questo caso, sociale) e la capacità di creare l’illusione di immediati effetti risolutivi.  Le mancanze di una politica fondata sul dialogo plurale aperto e sull’individuazione delle cause a monte della frattura producono una rapida estroversione: i problemi comuni sono avvertiti come una minaccia esterna da allontanare e combattere. All’aspetto fittizio di questo processo lavorano alacremente membri dell’autorità amministrativa francese, investiti di responsabilità politico-isituzionale. Di questo «vuoto di prossimità» si nutrono le campagne anti-rom, assicurate da un vertice e dalla vulnerabilità dei gruppi di indesiderati . Poco visibili, «intoccabili» (in senso indefinito ed esteso rispetto all’antica setta alla quale furono erroneamente associati ), respinti entro margini fisici che rendono la loro presenza sul territorio un atto di resistenza, i rom sono scorti e assembrati dall’angolo visuale dell’estraneità: nel recinto degli scarti umani, occultati «fuori-campo», non lontano dalla propria casa. Se le questioni nascono in un «contesto», ossia nell’ambito delle relazioni concrete, i rom non costituiscono affatto «un’altra società». Le divisioni di appartenenza, irretite nel referente etnico-razziale, generano un allontanamento automatico dalle realtà possibili, restringendo gli ambiti di pensiero e il campo d’azione degli individui. Reso manifesto fuori tempo e fuori luogo, l’istinto di auto-conservazione porterà, semplicemente, alla morte civile: un processo che si sta realizzando anche in Italia.

Quei voli verso la Romania
I primi voli della seconda metà di agosto (il 19 e il 24), partiti da Lione e Parigi, «spedivano» in Romania e Bulgaria fino a cento passeggeri rom: erano le prime espulsioni seguite all’annuncio di Nicolas Sarkozy sull’attuazione di un piano di sicurezza concepito ad hoc. A ben vedere, i rimpatri, già esperiti con successo, sono una specialità di efficienza amministrativa francese. Nel 2007, sempre in agosto, duecento rom furono evacuati dalla «Bidonville de la Soie» di Villeurbanne (presso Grenoble) e centocinquantuno partirono alla volta di quello che fu chiamato un «ritorno volontario», ossia l’accettazione del rientro in Romania per chi, privato di un luogo dove poter sostare e sprovvisto di permesso di soggiorno, sottostava alla procedura avviata dall’Agence Nationale d’Accueil des Etrangers et des Migrations (ANAEM). Dopo il viaggio in navetta (30 ore per 1500 km), ogni adulto riceveva una somma prefissata di 153 euro. «In Romania non abbiamo né lavoro né casa. Torneremo in Francia, forse tra un mese…» affermava un padre di famiglia appena giunto ad Oradea, nella regione transilvana del Bihor . Non è possibile qui tracciare una cronaca degli esodi forzati ai quali, forse, il pubblico mediatico si è già assuefatto. L’informazione «ufficiale» evita le fonti dirette: le voci dei più restano sepolte anche in forza di esperte retoriche che trattano di un «oggetto» sociologico annullandolo come emittente.
La località di Petrosani, in Romania, è una tra le destinazioni dei recenti rimpatri via aerea dovuti all’ «insufficienza di risorse»  della Francia per cittadini europei con un costo sociale che oscilla intorno allo zero. Gabriel, rientrato con 350 euro in tasca, alloggia in un quartiere sinistrato per minatori di questa cittadina dell’Ovest romeno, dove il tasso di disoccupazione supera del doppio (15%) la media nazionale: «A Grenoble lavoravo in nero in diverse autorimesse; mia moglie era commessa. Ho la sensazione di ricadere nella povertà: la zona è sfavorita e l’industria… Morta da un pezzo! Non so a cosa attaccarmi né come mantenere la mia famiglia. In Francia, ultimamente, si comportano in modo strano, tutte le amministrazioni ti rigettano. Aspetto che le acque si calmino. Intanto cerco un lavoro per poter tornare in Francia, dove mi sento ancora un po’ a casa.»
Come dimostra l’esperienza storica dei rom nei Balcani, la vicinanza delle frontiere può diventare un riparo contro misure di polizia discriminatorie. I rom si spostavano via terra, a piedi e con mezzi a traino animale, secondo percorsi strategici definiti e ben lontani da quel supposto vagare nomade assunto a indice arbitrario di pericolosità sociale. Il 9 settembre, ad Armentières, con l’assistenza di due avvocati specialisti in materia di immigrazione, tre rom hanno adempiuto a un decreto prefettizio di espulsione, spingendosi un centinaio di metri oltre la frontiera belga. Il provvedimento, una volta eseguito, è (in termini giuridici) «esaurito»: ciò ha permesso loro di rientrare sul suolo francese due minuti più tardi in piena legalità, come qualunque cittadino di un Paese dell’Unione Europea. Due avvocati specialisti in materia di immigrazione li hanno assistiti in questa operazione, volta a mostrare l’assurdità del modus operandi che distingue la politica dell’Eliseo .
L’osservatore della scena europea che non abbia reso visita ai membri di una famiglia romanì o preso parte a un frammento della loro vita sociale è preso in una giostra di pensieri inadatti a sostituire l’ascolto e lo sguardo diretti. Il suo ordine di idee è azionato da una sorta di distrazione sintetica, capace di far scorrere come figure di un gioco aspetti già filtrati a debita distanza: le immagini scorrono su uno schermo e i concetti si invalidano in formule fisse, più facili da tenere a mente. Proprio in un gioco può succedere che lo zingaro tanto temuto si tramuti occasionalmente in homo ludens, pronto ad apparirci divertente non perché non abbia vissuto, ma per un’esistenza privata di valore. Non sempre è agevole far uscire gli altri, o se stessi, da tipologie oscure (pensiamo al «nomadismo», tecnicamente impossibile in Europa, o al fascino della sfera biologica nell’attribuire la diversità in base ai comportamenti del proprio vicino). Altrettanto frequente è la confusione tra le espressioni del singolo soggetto e l’esistenza di leggi «sociali» (ritenute cioè valide e operanti con effetto all’interno di uno o più gruppi). Esiste un punto di rottura tangibile tra l’intimo immaginario individuale, catalizzato dal desiderio, e sistemi di regole inerenti a tutti i membri formanti una società. Tuttavia, le rappresentazioni inter-etniche si muovono per flussi trasversali, coinvolgendo l’immaginario nell’ordinamento simbolico di confini e asimmetrie interne: un processo che tenderà a tradursi in azione . La debolezza politica della galassia di organizzazioni nate in difesa dello status dei rom è una verità spesso lamentata nell’analisi eziologica della discriminazione continuata di cui sono vittime: i rom sono divisi anche al loro interno. Premesso che alcuni aspetti della vita sociale (ad esempio: la ricchezza materiale e i mezzi per ottenerla; la sfiducia nelle istituzioni e nello stato di diritto; gli attentati alla propria incolumità fisica, al prestigio, alla posizione raggiunta) rivestono un valore diffuso, non c’è da stupirsi se i gruppi rom hanno scarsa rappresentatività o attraversano crisi di valore rivelate da conflitti interni (generazionale, di genere…). Negare ai rom la permeabilità a simboli e usi sociali, chiamando in causa la loro specificità, non fa altro che allontanarli ulteriormente: un approccio «ravvicinato» non potrebbe fondarsi sul fatto che la società di cui si parla, al di là di ogni giudizio di valore e delle differenze che la animano, è la stessa? «Distrarsi» significa, allora, orientare il proprio habitus su una base violenta, che ha bisogno di distanza – di «rincorsa» – per colpire. Le radici del bando affondano in questa prospettiva e le reazioni arrivano tardi, dopo il decollo degli aerei, che in sé residua come effetto spettacolare di perfezionamento, anticostituzionale e liberato da sanzioni. Un’altra ragione indiretta della deriva francese, addotta a posteriori, è l’inerzia del Partito Socialista, la cui attualità è quanto mai distante dall’intuizione che Gilles Deleuze ci offriva dalla scatola filmica del suo «Abécédaire». Il filosofo attribuiva un senso all’essere di «sinistra» fondandolo su un fatto di percezione: occorre partire dal pourtour, il «perimetro esterno» del mondo; progressivamente, passando per continenti e paesi, giunge al proprio quartiere, alla via di casa, alla soggettività. «Come nella filosofia giapponese, si percepisce prima l’orizzonte, anzi: “all’orizzonte” della realtà. (…) Ciò non ha nulla a che vedere con la questione morale e la generosità di ciascuno (…) I problemi del Terzo Mondo sono più vicini a noi dei problemi del nostro quartiere.»
La mobilità europea dei rom assume forme paradossali: se nei Balcani, a causa dell’instabilità politico-territoriale, i rom si sono spostati seguendo il mutare dei confini , ora, nello spazio «allargato» dell’Unione, sono costretti in «campi» e aree di sosta per «nomadi» o «gens du voyage» e spostati dalle autorità di uno stato verso un altro stato inscritto nel medesimo spazio geopolitico: questa volta si disporrà di tutte le risorse sufficienti a tradurre il «problema» in altro luogo. I diritti fondamentali garantiti dalle carte costituzionali e dall’ordinamento internazionale non sono, certo, inscritti nella «natura» delle società, «naturalmente» imperfette. Peraltro, la società che li espone a propria conquista dovrebbe preoccuparsi, quantomeno a livello istituzionale, di garantire una minima rispondenza a quei valori, come se essi circolassero a livello diffuso nella coscienza dei soggetti, presenti alle loro strutture di pensiero ed azione. Con gradi anche intensi di sensibilità civile, a Parigi e in altre città francesi e, soprattutto, nel nord rurale e industriale, ci si indigna e si scende in piazza a manifestare…

I rom, presenze nel vuoto

Eppure i rom rimangono un caso a parte, circoscritto e isolato da un vuoto di coscienza. A ritroso, il demo-mostro degli «zingari» come «umanità a sé» si è cementato con una vitalità storica sorprendente e continua, in grado di passare oltre il grado zero dello sterminio nazi-fascista. La Francia, da parte sua ha dato prova di zelo nel creare precocemente uno statuto speciale riservato ai rom , contribuendo a creare un vuoto triplice: storico (di memoria), politico (di assenza) e spaziale. Quest’ultimo carattere ha connesso gli allontanamenti alla mobilità repressa, dando adito alla violenza cui si accennava poco sopra: verbale, visiva (negativo fotografico esposto da chi si ritrae in veste preminente per contrasto dall’ Altro); violenza degli atti «normali»; lontano dall’essere rom tanto quanto dalla propria cittadinanza nel mondo.
Porto sempre impresso il ricordo dell’ospitalità ricevuta da una famiglia romaní di artisti e artigiani di origine ispano-ungherese: abitano in Alta Provenza e, per raggiungere la loro kampìna (roulotte) è necessario passare per la discarica che costeggia l’A51 o Autoroute du Val de Durance. Di là dal doppio nastro d’asfalto stanno un «Flunch» e un centro commerciale, ma per andarci a piedi è necessario valicare un terrapieno e passare sotto una rete metallica, forata in più punti. Il vuoto fisico, una volta conosciute da vicino quelle persone, era forse lo scoglio più duro da accettare, perché andava a riassorbire o esprimere anche le altre vacuità: saltava all’occhio l’aspetto prossemico del loro isolamento, mentre li guardavo descrivere -in mezzo a linee rette e invalicabili, fatte per correre – la curva fragile eppure intoccabile delle loro esistenze. Allora, con ritardo, prendevo atto che quello spazio di vita, per me fisicamente nullo, diventava con loro il punto luminoso di un tempo salvato. Tuttavia, per rendersene conto, bisogna fermarsi e fare il passo, superando la rete.
Ad anni luce dalla «percezione all’orizzonte» di Deleuze, l’identità, distorta nel concetto e vantata come l’esclusiva di un brevetto, si riduce oggi a proprietà assoluta di feticci – anziché farsi messaggio, ponte da gettare sui vuoti di senso – e si abbassa al saluto meschino che l’uomo di stato rivolge, per strada, a una donna, promettendole di liberarla dalla «feccia» che infesta i suoi incubi.

 

1    In un’intervista rilasciata ad Elisabetta Ambrosi per la rivista «Reset», Alessandro Simoni fa notare come i gruppi socialmente deboli ricorrano di rado a strumenti di tutela giuridica. Ciò colloca su piani nettamente sfalsati il timore di azioni repressive rispetto alla loro legalità. La consapevolezza di questo scarto permette all’autorità politica di raggiungere de facto immediatamente i propri scopi. Vd. A.Simoni, I rom tra ambiguità del diritto e rendita politica, «Reset – Caffè Europa», 31/10/2010.

2    Diversi storici ziganologi concordano sul fatto che i rom siano originari dell’India nord-orientale, abitata dieci secoli or sono dai dom, popolazione a cui fu ascritta, con minor successo e in base a una cronaca kashmiri del XII secolo, l’appartenenza dei kandala , una casta di paria. Con athìnganoi, «intoccabili», si designavano invece, nel Basso-Medioevo bizantino, i gruppi giunti dall’Asia Minore, traendo il nome da una setta eretica esistente nell’Anatolia del VI secolo.  In proposito si fa ampio rinvio al testo di F. De Vaux de Foletier, Mille anni di storia degli zingari, Jaca Book, Milano 1990.

3    Yves Alègre, «Le Progrès», 13/08/2007, p. 7. Sempre a fine agosto di quell’anno, smantellata una baraccopoli a Parilly, presso Vénissieux, i rom romeni che l’abitavano ripartivano in autobus per l’Est europeo stipati in gruppi di quaranta persone (si veda, in proposito: D’expulsion en expulsion: l’éxod  rom, da: «bidonville.over-blog.com», 28/08/2007).

4    Il Parlamento europeo, con risoluzione proposta il 6/09/2010, ha chiesto alle autorità francesi e degli altri stati membri che sospendessero immediatamente tutte le espulsioni riguardanti i rom, facendo presente che «La mancanza di risorse economiche, in nessun caso, potrà avere per conseguenza automatica l’espulsione di cittadini dell’UE». Inoltre le espulsioni, che limitano la libertà di circolazione e residenza per ragioni di ordine, sicurezza o salute pubblici, devono avvenire «in forma individualizzata, tenendo conto delle circostanze personali e adottando le debite garanzie processuali e le possibilità di ricorso» – Servizio stampa del Parlamento Europeo, Strasbourg, 14/09/2010 in www.europarl.europa.eu – Traduzione nostra (t. n.).

5    E. Baillon e A. Teodorescu per AFPTV, servizio del 21/08/ 2010 (t. n.) [il filmato è reperibile su: http://www.youtube.com/watch?v=b7rEq589oSk&feature=channel].

6    Christophe Hérin, Des Roms expulsés font démi-tour, articolo inserito nel newsgroup di «news.gmane.org» il 9/09/2010.

7    «La sfera del Simbolico è l’insieme dei mezzi e dei processi  tramite i quali realtà ideali si incarnano in realtà materiali e, al tempo stesso, in pratiche atte a conferirgli un’esistenza concreta, visibile, sociale» – Maurice Godelier, Au fondement des sociétés humaines, Albin-Michel, Paris 2007, p. 38 (t. n.).

8    Si veda l’intervista di Pierre-André Boutang: Etre de gauche c’est percevoir le monde d’abord, tratta da « L’Abécédaire de Gilles Deleuze » , Ed. Montparnasse- Regards (3DVD, 7h 33mn), Paris 1996.

9    Sul tema della mobilità storica dei rom, si fa ampio rinvio a L. Piasere, I rom d’Europa, Laterza, Bari 2004.

10    Con legge del 16 luglio 1912, la Terza Repubblica istituiva il «libretto antropometrico», completo di foto, impronte digitali e dati frenologici, e abolito solo nel 1969. Si calcola che circa tremila rom siano stati internati in ventisette campi francesi tra il 1940 e il 1946. Si veda, tra gli altri, Emmanuel Filhol, La mémoire et l’oubli: l’internement des Tsiganes en France, 1940-1946, L’Harmattan, Coll. «Interface – Centre de recherches tsiganes, n° 27», Paris 2004.