Prima le donne e i bambini
Intervista con Bijan Zarmandili, a cura di Severino Saccardi
Sommario: Il significato profondo dell’esperienza dell’iraniana Shirin Ebadi, al di là della rilevanza mediatica che essa ha assunto al momento dell’attribuzione del premio Nobel, risiede soprattutto nella sua capacità di rappresentare le istanze dei soggetti che maggiormente subiscono il peso della cultura teocratica e maschilista: le donne e i bambini.
D. Al momento del conferimento del premio Nobel per la Pace a Shirin Ebadi i nostri mezzi di comunicazione sembrano aver puntato più su un discorso ad effetto, cioè sull’attribuzione del premio a questa donna, da noi sconosciuta, anziché al Papa, piuttosto che su un reale approfondimento della sua figura, della sua esperienza e del significato che la scelta caduta su di lei esprimeva. Partirei da qui, dal ricordare chi è Shirin Ebadi.
R. Vorrei rovesciare il discorso e partire da un elemento legato allo sviluppo, all’evoluzione delle società islamiche in una regione così convulsa, in crisi e in continuo cambiamento. Probabilmente nel mondo islamico si possono trovare tante altre figure simili. Shirin Ebadi ha indubbiamente alcune peculiarità da non sottovalutare: è stata la prima donna giudice in Iran, coraggiosamente ha subito e superato una fase di repressione e di sistematica svalutazione, all’inizio della Rivoluzione, degli incarichi che molte donne ricoprivano nelle istituzioni iraniane, in nome di qualcos’altro, di principi ideologici esterni agli ambiti in cui esse operavano, spesso egregiamente. Shirin è riuscita a rimanere un punto di riferimento, ha dato vita ad una associazione che difende i prigionieri politici e i diritti dei bambini e delle donne, cioè di soggetti strutturalmente, culturalmente e socialmente deboli. In una società così maschilista e arretrata, con l’aggravante di un regime teocratico che le ha imposto una pesante “tutela” autoritaria, la funzione di una donna come Shirin Ebadi emerge e diventa importante. A questo vanno poi aggiunti anche alcuni aspetti personali del suo carattere: ella è infatti una donna molto tenace, sobria, abituata a misurare la verità non soggettivamente, ma in relazione ad una precisa e limpida cultura giuridica. Sono tutti elementi che valorizzano il suo peso sociale, culturale, e anche politico. Paradossalmente, in questo mondo così complicato e così arretrato, si possono trovare altre donne come Shirin Ebadi. Voglio dire che insieme a Shirin Ebadi è stata premiata la società civile. In questo senso, questo premio Nobel è stato davvero importante ed emblematico. E per questo è così importante continuare a sottolinearne il valore.
D. Vorrei affrontare con te un ragionamento intorno a quell’ insieme di questioni cruciali che una figura simbolica come Shirin Ebadi concentra in sé. C’è il rapporto islam-modernità, islam-emancipazione della donna, islam-diritti umani. Visto che Shirin Ebadi è iraniana, forse vale la pena di fare il punto su questi nodi problematici proprio a partire dalla situazione iraniana.
R. Per dare l’idea della sua rilevanza, aggiungerei, di nuovo, accanto alle centralissime questioni richiamate, anche quella della difesa dei bambini e dei soggetti deboli. I bambini hanno meno diritti e sono figure giuridiche meno riconosciute, quindi la diffusione di una cultura che guarda a loro in un certo modo, cioè come persone che hanno come gli altri il diritto di godere di determinate garanzie o doveri è in queste società un problema molto serio, perché tutto ciò non deriva direttamente dalla cultura arcaica e tradizionale che tuttora possiede una forza ed esercita un richiamo di grande forza e pesantezza. C’è bisogno di modernizzare quella cultura e questo è iniziato anche con delle azioni reali, semplici e concrete. Quello che sta avvenendo in quest’ultimo periodo in Iran (ma estenderei il discorso anche a buona parte delle società islamiche) è l’esperienza della costruzione “dal basso”, nel cuore di una parte del tessuto civile, di una società laica, di un laicismo che non trova le sue radici nell’Illuminismo, nella Rivoluzione Industriale o nella cultura occidentale, ma che sta cercando, comunque, di separare il potere politico dalla religione, di collocare la fede religiosa in un ambito privato. La religione islamica non è riformata come lo è stato il cristianesimo all’interno di un secolare travaglio e di rotture di evidente spessore storico, quindi il discorso della e sulla laicità in una società di questo tipo diventa molto più complesso e deve anche partire da elementi diversi rispetto ad una società secolarizzata di cultura e di derivazione cristiana. Ci sono in Iran intellettuali che provengono dall’area islamica e che rappresentano, comunque, l’avanguardia di un movimento che chiede la riforma della religione, la separazione della religione dalla politica, la democratizzazione della religione. Shirin Ebadi pone implicitamente questi problemi. Ma ci sono altri personaggi che lo fanno, ad esempio Aghajari che è un intellettuale politico che sta scontando una condanna molto pesante nelle carceri iraniane e che è un punto di riferimento da non sottovalutare. C’è poi il prof. Gangi che è un accademico e un politico che ha militato tutta la vita dentro organizzazioni islamiche e ha partecipato alla rivoluzione. Quindi è parente prossimo dello stesso movimento islamico che vent’anni fa ha cambiato la sorte dell’Iran trasformandolo da paese monarchico in una repubblica islamica. La riforma nasce,oggi, nel cuore stesso delle esperienze di derivazione islamica. È una dialettica che nasce e si sviluppa all’interno di quel tipo di società e proprio per questo è importante, anche se in Occidente se ne ha una visione molto ridotta e parziale. Sono tutti esempi di un dinamismo particolare che sta caratterizzando lo sviluppo di una società come quella iraniana in una fase in cui il riformismo di tipo istituzionale, quello che all’interno delle istituzioni chiedeva la democratizzazione di alcuni organismi, è ostacolato da una offensiva violenta della parte integralista del Regime. Quella che oggi si muove in maniera significativa è una forza della società civile e direi anche, con tutte le peculiarità del caso, un movimento laico che vuole cambiare e riformare l’islam dal suo interno.
D. Un movimento laico, se ben capisco, per certi aspetti incentrato anche sul rinnovamento teologico?
R. Assolutamente sì. Aghajari è stato condannato perché ha posto il problema della riforma della religione e ha evocato l’istanza di una esperienza, diciamo così, di tipo protestante nell’islam. Questo termine (“protestante”) viene usato per la prima volta all’interno del mondo culturale islamico da Aghajari e nasce, questo è l’aspetto contraddittorio, interessante e poco conosciuto in Occidente, a partire dalla revisione, dalla rimeditazione e, poi, dalla contestazione dell’esperienza di un regime teocratico islamico integralista.
D. Quindi viene posto il problema di una riforma dell’islam.
R. Esatto Gangi, significativamente, dalla prigione ha scritto una sorta di manifesto per la democratizzazione della religione e quindi della società. Ci sono, insieme, esigenze di rinnovamento teologico, civile e politico. Sono esempi molto importanti che crescono sempre più in fretta. L’esperienza riformista degli ultimi anni aveva dato luogo effettivamente ad uno sviluppo della società civile, nel senso che c’erano più discussioni, associazioni, una stampa più libera. Con l’offensiva degli integralisti e, in un certo senso, con la sconfitta di quel tipo di esperienza riformista legata anche alla speranza del rinnovamento del mondo istituzionale, è nata un’idea ancora più avanzata.
D. Cioè più legata alla società civile…
R. Sì, direi di sì. Non più solo o tanto la riforma democratica delle istituzioni stesse, ma qualcosa che va oltre, cioè la separazione della politica dalla religione, la democratizzazione generale, il problema dei diritti.
D. Passato il momento del clamore per il conferimento del premio Nobel, la vicenda di Shirin Ebadi contribuisce comunque a spostare in avanti questo processo?
R. Questo dipende molto da quello che avverrà a media scadenza in quella regione, con tutte le complicazioni anche di carattere internazionale che ben conosciamo, ed è molto difficile fare delle previsioni. Però quello che sta avvenendo intorno alla figura di Shirin Ebadi ha una prospettiva, perché c’è un tentativo di portarla in Parlamento. Qualcuno parla addirittura di una sua candidatura alla Presidenza della Repubblica. Molti premono perché lei entri attivamente in politica. Ma, per adesso, è importante rilevare come la serietà con cui ella sta continuando a portare avanti, all’interno della società iraniana, il suo lavoro ed il suo discorso contribuisca comunque, ben al di là dell’evoluzione del suo stesso Paese, a recare un sostegno ed un contributo importante alla difesa dei diritti umani. Soprattutto, come la sua figura, la sua sensibilità e la sua figura ben esprimono, alla difesa dei diritti dei più deboli, dei senza-voce, dei soggetti più deboli, come le donne ed i bambini.