La casa della musica di Maurizio Bassetti
Come si possono intrecciare i due linguaggi della musica e della poesia in un’esperienza personale di carattere non professionale.
Non mi intendo di musica
Non so suonare, non mi intendo di musica. Ma la musica ha sempre attraversato e arricchito la mia vita. Mia madre suonava il piano e ascoltava musica classica. Le note del pianoforte sono state il sottofondo della mia fanciullezza. Fin da ragazzo sono stato abituato ad andare ai concerti. Alcuni pezzi di musica classica mi sono rimasti nel cuore come l’Inno alla gioia di Beethoven o il Concerto n. 1 in Si bemolle minore op. 23, per piano e orchestra di Chajkosvki. Ricordo l’impressione che la musica di Chajkosvki, che già conoscevo, mi fece vedendo il film di Ken Russel L’altra faccia dell’amore (The Music Lovers 1971) sulla vita del compositore. Nello stesso periodo scoprivo i Beatles, già famosi, e mi piacevano le armonie del secondo periodo dove elementi di musica classica si inserivano nella loro musica pop e il rock si faceva melodico con le note struggenti di Let it be, fino ad arrivare alla splendida canzone di Lennon Immagine dove l’uso del pianoforte si abbinava ad un testo pieno di ideali che ancora oggi considero validi (in una inchiesta di qualche anno fa Immagine è stata considerata la canzone più bella del ‘900 e durante le manifestazioni del social forum europeo del 2002 fu la colonna sonora dei cortei).
Quando mi sono innamorato di Angela, che sarebbe stata mia moglie, ha avuto una parte non secondaria per il mio sentimento il fatto che lei suonasse il pianoforte e fosse appassionata di musica. E così anche la mia casa di adulto ha avuto un pianoforte e il suo sottofondo musicale. Con gli amici le serate in casa nostra finivano sempre in musica.
I miei figli sono stati cresciuti, soprattutto per merito di Angela, con la passione per la musica. Mia moglie cantava loro con la chitarra o il piano o cercava di educarli al canto intonato fin da piccoli. Mia figlia Marta poi ha studiato anche lei il pianoforte e oggi sta per diplomarsi, mio figlio Andrea, che fa il medico, ha la passione per la chitarra e suona sia la classica sia l’elettrica con vari gruppi.
E quando qualche giorno fa è arrivato il nuovo acquisto, un pianoforte a mezza coda, in casa è stata una festa a cui abbiamo partecipato tutti con gioia quasi fosse arrivata una persona…
Dalla musica alla poesia
Per me la musica è qualcosa di sempre presente, di indispensabile, di poesia continua, di ispirazione infinita di sentimenti. E penso che sia un’esperienza per tutti, anche per chi come me non ha coltivato la musica in prima persona, non sa suonare, non sa cantare, ma sa apprezzare la magia delle note e ne trae godimento.
Non so suonare, non mi intendo di musica, ma più volte la musica che sento mi ispira sentimenti che a volte ho messo per scritto, come ad esempio questi versi dedicati a mia moglie:
Mille note
(5/4/1989)
Dolce è il soffio di mille note
che riempie ogni ambiente di te
e dolce è la musica del tuo sorriso
che scivola dentro il mio cuore.
Vorrei essere corda per vibrare insieme con te
Vorrei essere musica per palpitare dentro di te
Vorrei essere acqua per scorrere sulla tua pelle.
Suoni di violino
Da qualche tempo Angela si è dedicata allo studio del violino e con grande impegno è riuscita ad arrivare a un buon livello di preparazione che le permette di suonare nell’orchestra dell’Università di Firenze. Mia moglie, come gli altri componenti (tranne il primo violino e il direttore), è dilettante, ma il livello della musica suonata dall’insieme è buono e apprezzato da un numeroso pubblico che segue i concerti (gratuiti) che periodicamente vengono eseguiti. Così una passione coltivata in casa e comunicata ai figli si è trasformata in un’attività pubblica regolare, impegnativa ma divertente. Il violino le ha permesso inoltre un aspetto nuovo della musica: suonare insieme.
E ancora una volta la musica mi ha avvolto e accompagnato ancora di più e la mia vita si è arricchita.
Suoni di violino
(5/4/2000)
Sotto un cielo grigio
a sprazzi azzurro
non mi bagna
questa pioggia nera
Porto dentro i suoni
ora stridenti
ora struggenti
tutti cari
creati dalle tue dita
Poesie per la musica
La musica è un linguaggio autonomo, universale che parla a tutti, che riesce a comunicare emozioni oltre le parole. Famosa la scena nel film Mission in cui il missionario affascinava gli indios dell’Amazzonia con il suono del flauto (nelle note immortali di Ennio Morricone).
Ma spesso si è sentito l’esigenza di accompagnare la musica alle parole o accompagnare le parole con la musica. L’epica greca antica veniva recitata dagli aedi con l’accompagnamento della cetra e così pare per la tragedia. Alla fine del ‘500 la Camerata de’ Bardi a Firenze, pensando di riproporre il sistema del teatro antico, ideò il recitar cantando che dette vita al melodramma e poi alla musica lirica moderna, che ha visto l’abbinamento di un musicista che scrive la partitura musicale e un poeta che scrive il libretto dell’opera. E con la riforma di Metastasio la parte poetica ha avuto anche il suo rilievo a tal punto che il suo libretto della Didone abbandonata ha avuto oltre cinquanta partiture musicali diverse nel solo ‘700.
Ma anche grandi musicisti hanno sentito a volte l’esigenza di spiegare a parole, accompagnare con scritti, la loro musica come nel caso delle Quattro stagioni per le quali Vivaldi scrisse alcuni versi per spiegarne il contenuto che lo aveva ispirato; o il caso di Pierino e il lupo, la Fiaba per voce recitante e orchestra di Segej Prokofiev (1886) in cui si abbinano i suoni degli strumenti a dei personaggi.
L’abbinamento tra poesia e musica è stato poi largamente usato nella musica leggera contemporanea e non solo in modo popolare e orecchiabile ma anche con veri e propri testi poetici. Famosi i testi di Mogol degli anni sessanta e il grande abbinamento Mogol-Battisti che ha segnato un’epoca. I grandi cantautori poi si sono spesso distinti proprio per la pregnanza dei loro testi, basta ricordare tra tanti il mio preferito Francesco De Gregori. Di tutto questo ne parla in modo ampio e documentato in questa volume Roberto Mosi e non mi dilungo oltre, vorrei solo ricordare la mia esperienza diretta.
Anche a me una volta è capitato di provare a scrivere alcuni testi poetici per delle musiche. Tra i miei conoscenti ho il piacere di avere l’amicizia di un bravissimo musicista, insegnante di pianoforte al Conservatorio, compositore ed esecutore internazionale, Giuseppe Fricelli, il quale mi chiese diversi anni fa di scrivergli i testi di tre musiche che aveva composto. Nonostante la mia inesperienza mi misi alla prova ed ebbi l’occasione di provare questa ulteriore emozione di ascoltare una musica e cercare di scoprire in me un contenuto da riportare in parole. Mi sono lasciato attraversare dalla musica, ascoltandola e riascoltandola, percependovi tutte le sfumature e interiorizzandone il ritmo. Così scrissi i versi, che non hanno avuto fortuna e non sono stati mai pubblicati, ma che costituiscono per me un ricordo di un’esperienza unica e intensa.
Riporto qui, come memoria di questa esperienza, una di queste poesie, quella a me più cara perché abbinata ad una riflessione che in quei giorni mi coinvolgeva particolarmente:
Una foresta nel cuore (30/6/1990)(musica di F. Cioci e G. Fricelli)
Su dammi la tua mano:
è diversa dalla mia
e guarda la tua pelle:
ha un colore che non ho,
ma il cuore tuo che batte
è lo stesso che io ho,
non essere sì triste
se c’è chi non lo sa.
Tu hai lasciato il padre
e un amore che era lì,
nel cuore hai una foresta
ed un cielo un po’ più blu.
Il tuo linguaggio è un altro
e il tuo Dio non è qui,
negli occhi tuoi profondi
hai pensieri che non so,
ma l’anima nel petto
è la stessa che io ho,
non essere sì triste
se c’è chi non lo sa.
Tu hai lasciato un mondo
pien di sangue e di dolor,
nel cuore hai una foresta
ed un cielo un po’ più blu
ed un cielo un po’ più blu.