di Francesco Piccinelli Casagrande
Quanto è frustrante occuparsi di Internet
A dicembre 2009 cominciavo a scrivere la mia tesi di laurea che avrebbe preso il titolo di Tra blog e giornalismo, uno sguardo critico sul mondo dell’informazione in Rete. Questa tesi partiva dal presupposto che gli ultimi 10 anni della storia del giornalismo sono stati caratterizzati da una tensione tra utenti e grandi industrie editoriali. Questa tensione trovava una sua fenomenologia nel rapporto tra blogosfera e mondo del giornalismo di qualità dove i giornali fornivano contenuto ai blog e i blog ne controllavano l’affidabilità e la qualità. Per dirla in poche parole, all’inizio, l’idea che sostenevo era che si potesse trovare un modo in cui questo rapporto potesse diventare economicamente redditizio. Qualcuno, in effetti, c’è stato. Si tratta di Arianna Huffington che, grazie al suo huffingtonpost.com (huffPo) è riuscita a creare un’impresa editoriale che ha portato alcune innovazioni delle quali si deve tenere conto per il futuro. Mentre scrivevo questa tesi, da Cupertino e da New York giungevano notizie che hanno aperto nuovi scenari: il «New York Times» annunciava che sarebbe diventato a pagamento e Steve Jobs lanciava il suo nuovo gioiello, l’iPad. Non potendo non tenere conto di queste innovazioni, mi sono ritrovato a dover aggiustare il tiro della tesi e a dover includere anche questi prodotti nel discorso, complicandolo ulteriormente. Buona parte della frustrazione che prova chi deve analizzare la Rete in un modo vagamente serio deriva dal fatto che in giro ci sono talmente tante innovazioni, succedono talmente tante cose che è umanamente impossibile tenere conto di tutti i fattori. In particolare, l’area di Internet che è in maggiore fibrillazione è quella legata al mondo delle notizie. La crisi che i giornali stanno attraversando è talmente grave che è necessario trovare soluzioni molto redditizie in tempi molto brevi.
I reparti R&D delle grandi industrie editoriali, dei motori di ricerca e delle aziende di hardware sono impegnate in uno sforzo senza precedenti nel tentare di capire come i giornali possano aggiornare il loro prodotto e renderlo redditizio. Buona parte di queste ricerche sono coperte dal più stretto riserbo. Del tablet della Apple, iPad, si sapeva solo che sarebbe uscito, del sistema di pagamento che il New York Times si sapeva ancora meno, della veste grafica dello Wall Street Journal per iPad si azzardavano solo alcune ipotesi. Questo pone un altro problema a chi si occupa del settore: molte delle novità in programma esistono, ma sono esclusivo appannaggio di qualche ingegnere che, per contratto, è costretto al più rigoroso silenzio. In questo momento, gli attori sul mercato sembrano dei team di Formula 1 in attesa di presentare la propria auto. Tutti sanno che è in garage e che è pronta, ma solo i suoi progettisti sanno che aspetto avrà. L’aspetto più problematico del mondo dell’informazione, da questo punto di vista, è che si rischia di non avere tempo di capire cosa possa fare uno strumento che subito viene soppiantato da un altro. Alla fine del 2009 tutti si chiedevano cosa potesse fare Kindle. Oggi, ci siamo tutti quasi dimenticati di quel tipo di e-book e i riflettori sono tutti per l’iPad di Apple. Cosa bolla nelle ipersofisticate pentole della Silicon Valley è un mistero che sarà svelato a breve.
Per questo, un’analisi completamente esaustiva delle tendenze che affronta il mondo dell’informazione è impossibile. Tuttavia, è necessario porsi alcune domande. Riflettere, ad esempio, sul perché di alcune scelte tecnologiche, su che senso abbia aprire un profilo Twitter o andare su Facebook, se il Web avrà un futuro o meno etc etc diventa un imperativo categorico. Per due ordini di ragioni: in primo luogo, la generazione di media maker che sta crescendo nelle università italiane si servirà degli strumenti che l’industria della California sta progettando, in secondo luogo, anche se gli oggetti di cui ci serviamo non esisteranno più tra dieci anni, alcune logiche sono destinate a rimanere. Per questo, chi si ferma è perduto, in quanto rifiutando la novità rinuncia ad apprendere una serie di lezioni che, invece, potranno essere utili un domani.
Tuttavia, è anche vero che spesso, quando si tratta di accogliere una innovazione, si pecca di entusiasmo. Basti pensare a quello che è successo con Second Life . Oggi, il mondo virtuale è poco più che una piccola community. La grande bolla immobilare che aveva coinvolto Second Life ha lasciato solo una miriade di palazzi vuoti. Forse, solo i quartieri a luci rosse mantengono uno straccio di vitalità. Tuttavia, il fenomeno dei mondi virtuali ha lasciato il passo a quello del Massive Multiplayer On-Line che è in espansione, inglobando alcune logiche di SL, basti pensare al fenomeno World of Warcraft . Oppure, abbandonando il fenomeno dei mondi virtuali e affrontando quello della pubblicazione di siti personali, pensiamo a quello che è stato Geocities. Questo servizio, poi acquisito da Yahoo!, permetteva, in pochi minuti, di aprire una sito web. Geocities è stato un enorme successo, ma è entrato in crisi nel momento in cui il grande pubblico ha imparato ad usare le piattaforme per i blog. Come nel caso dei mondi virtuali, tuttavia, Geocities ha avuto un significato e, per molti, avere iniziato a postare da lì, probabilmente, è stato più che una palestra. Tuttavia, è necessario mettere in evidenza un punto: Second Life e Geocities sono stati dei fenomeni fortemente sopravvalutati. Molte persone., ad esempio, hanno perso denaro vero investendo negli immobili virtuali di Second Life. Sarebbe bastato un po’ di spirito critico per capire quanto sia assurdo comprare un appartamento fatto di bit. E’ lo spirito critico, la risorsa principale che abbiamo per evitare di cadere vittime della Mistica dell’innovazione .
Giornalisti al tempo di Twitter
Il singolo giornalista, oggi, si trova a dover sviluppare una miriade di competenze che gli permettano di essere presente in modo efficace su tutte le piattaforme. Carta stampata, Tv, Internet. Questi media devono essere dominio del giornalista, se vuole avere la speranza che qualcuno continui a pagare per i suoi contenuti. Claudio Giuia in un suo recente articolo metteva in evidenza come il giornalista dovesse avere tutta una serie di competenze che spaziano dal Seo friendly writing dallo scrivere in modo da essere trovati da Google, alla capacità di utilizzare Adobe Photoshop, per non parlare del trattamento video. Esistono delle resistenze culturali a questa figura di giornalista. Tanto per metterne in evidenza una, la FNSI si è sempre scagliata contro quello che il sindacato definisce multitestata. In realtà, questo nodo della vertenza sul nuovo contratto nazionale del lavoro giornalistico nasceva dal fatto che gli editori hanno bisogno di giornalisti che operino su tutte le piattaforme all’interno di un unico marchio. Perché un giornalista de «la Repubblica» non può scrivere per il cartaceo e, poi, scrivere un audio per un servizio video che va sul sito Internet? Onestamente, è difficile trovare un perché. Tuttavia, le motivazioni del sindacato diventano chiare nel momento in cui si parla con qualche giornalista più in là con gli anni con un’idea di professione , forse, è bene rinnovare in fretta dal momento che ci sono luoghi di Internet dove queste cose accadono già e dove qualcuno, magari gratis, sta già affinando le capacità richiesta da un ambiente caratterizzato da una multimedialità avanzata .
Quel luogo è la blogosfera. Un blogger di buon livello deve essere in grado di scrivere in modo professionale e in modo da farsi trovare da Google. Inoltre, deve saper trattare immagini con Photoshop e montare filmati. Il più autorevole studio sociologico sulla blogosfera ci dice però che la blogosfera è composta da persone che hanno superato i 20 anni da un po’. Di conseguenza, lo strumento blog sembra scarsamente utilizzato dai giovani, preferito ad altre residenze in Rete come Facebook. Tuttavia, quella piccola parte (anche tra gli studenti di comunicazione) che tiene un blog e si serve degli strumenti di Internet per fare le prime prove tecniche di giornalismo avrà un vantaggio competitivo enorme, avendo imparato sul campo a muoversi in un universo crossmediale. Dell’importanza crescente della formazione per la professione giornalistica, parleremo in seguito. Per il momento, è importante tenere in considerazione il fatto che i blog possono diventare un efficace strumento di formazione sul campo.
Un blogger sa che per essere al centro della grande conversazione che si svolge in Rete deve servirsi anche di strumenti come Twitter e Facebook . Per quanto sia molto intuitivo pensare a Twitter come uno strumento di informazione, sull’utilizzo di Facebook ci sono ancora molte resistenze. Il social network di Zuckenberg viene visto come uno strumento buono per fare data mining oppure per l’intrattenimento. Culturalmente molto difficile, invece, risulta considerarlo come un valido strumento di informazione. Eppure, il social network è stato concepito per essere flessibile. In altre parole Zuckemberg ha fatto in modo che il suo social network potesse svolgere molte funzioni e diventare l’ecosistema di alcune applicazioni. Due, in particolare, sono quelle che vengono utilizzate dal mondo dell’informazione: condividi e gruppi. Condividi è l’applicazione che permette di linkare pagine web attraverso Facebook: quando, su un giornale on-line, troviamo un articolo che ci interessa, è grazie a questa applicazione che lo condividiamo con il nostro network. Viralmente, l’informazione si propagherà attraverso Facebook permettendo che un gran numero di persone ne venga a conoscenza. Accanto a condividi, abbiamo detto, c’è gruppo. Grandi outlet come Cnn, Bloomberg, «Il Sole 24 Ore» stanno sbarcando su Facebook organizzando gruppi che contano alcune centinaia di migliaia di aderenti. Attraverso questi gruppi, utilizzando l’applicazione condividi o sue derivate, mettono in circolo alcune informazioni che, così hanno un altro canale di diffusione. Questo, se vogliamo, è anche uno strumento per avere un feedback in tempo reale su quella che può essere la reazione ad una notizia in tempo reale. Naturalmente, siamo ancora ad una fase poco matura del rapporto dei grandi media con Facebook. Ma, anche se solo a scopo promozionale, il social network dovrà essere tenuto sempre in maggiore considerazione.
Naturalmente, non si tratta solo di prendere la residenza dove ce l’hanno gli utenti. Naturalmente, questa è una delle grandi sfide che il mondo dell’informazione deve affrontare. Tuttavia, bisogna considerare che le competenze di cui parlavamo all’inizio di questo paragrafo sono frutto di processi di riorganizzazione aziendale che hanno una profonda influenza sul prodotto dell’industria giornalistica. La transizione verso la multimedialità e verso le notizie a pagamento ha richiesto tutta una serie di innovazioni in termini di supporti fisici e in termini di innovazioni da un punto di vista del software. Queste innovazioni trovano la loro summa su iPad di Apple. Il tablet di Steve Jobs basato sulle applicazioni rappresenta, in fondo, un manifesto ideologico che può essere riassunto così: se vogliamo che gli editori tornino a guadagnare dal loro lavoro, devono essere messi in condizione di garantire la fruizione dei propri prodotti in un ambiente protetto. In altre parole, bisogna tagliare fuori Google, dal momento che il motore di ricerca si è arricchito alle spalle degli editori. Secondo Murdoch ed altri, la distribuzione dei giornali deve seguire logiche multimediali, ma all’esterno del web.
Google contro Apple
La fruizione di contenuti Internet al di fuori del web porta con sé alcune conseguenze. In primo luogo, gli hardware devono avere delle caratteristiche molto precise nel senso che devono garantire una certa capacità di calcolo unita ad una capacità di storage che non deve essere eccessiva. Uno tra gli aspetti che saltano più all’occhio quando parliamo di iPad è che ha un hard disk molto piccolo . Questo problema deriva da una scelta filosofica precisa: gli utenti di iPad utilizzeranno l’hdd solo per salvare le applicazioni che offriranno i propri contenuti via Internet. In altre parole, l’applicazione che mi permette di leggere lo «Wall Street Journal» è sul mio hard drive, mentre i contenuti sono in un qualche server che può essere in ogni parte del mondo.
La modalità di fruizione di Internet attraverso l’iPad è radicalmente diversa rispetto quella a cui siamo abituati in quanto le app, in fondo, sostituiscono i siti Internet. Se assumiamo che le app per iPhone ed iPad sono dei sostituti ai siti Internet tradizionali, possiamo assumere che App Store possa rappresentare, in un futuro non molto lontano, una valida alternativa ai motori di ricerca tradizionali, Google in testa. L’ambiente protetto da rigidissime regole progettato dagli uomini di Cupertino è la principale garanzia che non ci siano libere uscite di contenuti. E’ proprio l’inflessibilità del sistema che è alla base della distribuzione delle applicazioni da parte di Apple che interessa moltissimo agli editori; i grandi outlet delle news, con Steve Jobs, hanno quello che vogliono: uno strumento che permette di gestire in maniera efficiente i contenuti e di mantenerli all’interno di un ecosistema prevedibile ed è proprio questa prevedibilità il principale vantaggio competitivo nei confronti di Google. Questo modo di concepire il web sta contagiando altre piattaforme, come i PC, anche attraverso applicazioni come TweetDeck e Times reader basate sul runtime Adobe Air .
Anche Google, in fondo, è prevedibile. Come ogni software, risponde ad un algoritmo ben preciso che, date certe informazioni, le trasforma sempre seguendo gli stessi passaggi. Tuttavia, uno tra gli effetti collaterali del motore di ricerca è stato permettere la “serendipità”. In fondo, su Google, quando digitiamo le nostre parole chiave, ci imbattiamo in un gran numero di risultati che niente hanno a che fare con quello che cercavamo. Questo effetto collaterale ha permesso la nascita della blogosfera e fenomeni di diffusione virale dei contenuti. Anche per questo, Google ha sottratto utenti ai grandi siti di informazione che, magari, non avevano fatto un buon lavoro di Search Engine Optimization (SEO). Ma non è solo per questo che Google viene odiato dagli editori. Il servizio che l’industria delle notizie vede come fumo negli occhi è Google News. Google News è l’aggregatore più efficiente che sia stato progettato. Il suo algoritmo è in grado di gestire un gran numero di informazioni per rilevanza. Questo significa che Google prende contenuti gratis a siti che, per quei contenuti, hanno investito molto denaro. Gli editori non sono contenti che Google si appropri di contenuti che non gli appartengono. Per questo, sono disposti a sponsorizzare qualsiasi azienda proponga loro sistemi di controllo per i propri prodotti. Google, in realtà, non ha guadagnato granché da Google News. Sull’aggregatore non c’è nessuna pubblicità. Tuttavia, il fatto che Google News abbia regalato notizie togliendo visitatori alle fonti di quelle notizie è un affronto che l’industria editoriale non può tollerare.
Ciò non toglie che Google abbia una visione ben precisa del business delle notizie on-line. Montain View pensa, ad esempio, che le notizie verranno date a pagamento. Ma pensa anche che il business non possa non tenere conto del contributo degli utenti. In chiusura della mia tesi di laurea anche io mi chiedevo che ruolo avessero avuto gli utenti. Tuttavia, mentre io lasciavo la domanda in sospeso, Google ha delle idee molto precise su quello che sarà il futuro dell’editoria. Mountaine View crede, infatti che l’intero prodotto giornalistico vada rivisto attraverso le logiche della partecipazione tradotte in crowdosurcing e rivedendo in criteri di notiziabilità, in particolare, chiedendosi come mai ci sia tanta ridondanza nel mondo dell’informazione, come mai se guardo i principali Tg della Toscana scopro che la loro apertura è quasi sempre la stessa. Nell’ottica di Google, i giornali dovranno cercare di produrre notizie diverse, per pubblici diversi, su media diversi. Naturalmente, la distribuzione delle notizie sarà a pagamento. Tuttavia, l’insieme delle soluzioni che Google sta mettendo in campo promettono di dare un contributo attivo alla risoluzione dei problemi della stampa .
Prospettive
La dicotomia profit-no profit nel settore giornalistico è diventata uno tra i principali nodi del dibattito. Soprattutto nel momento in cui i giornali, per ristrettezze di bilancio, devono rinunciare al loro prodotto più pregiato, il giornalismo investigativo. Tuttavia, nel mercato, c’è una grande domanda di questi prodotti. Per questo, sono state fondate istituzioni come Pro Publica. Pro Publica è una fondazione che vende grandi inchieste ai giornali. Proprio grazie ad una di queste inchieste, Pro Publica ha vinto il premio Pulizer 2010 che divide con il settimanale del «New York Times». Questo basterebbe, ai più, a sostenere che il modello funziona. Tuttavia, questo business model ponte alcuni problemi. E’ vero che Pro Publica può permettersi di lavorare in perdita. Tuttavia, la necessità di dover reperire fondi magari da grandi multinazionali, espone la stessa Pro Publica ad interessi non sempre trasparenti. Inoltre, la creatura di Paul Steiger,vendendo, in sostanza, inchieste chiavi in mano ai giornali rischia di svalutare ulteriormente il ruolo delle redazioni .
Il problema della catena del valore del prodotto giornalistico è di difficile risoluzione anche per il risultato più maturo della blogosfera, The Huffington Post . Il sito di Arianna Huffington svolge molte funzioni che lo fanno definire come blog aumentato. In pratica Arianna Huffington ha creato un ambiente che può essere etichettato attraverso un gran numero di categorie. Aggregatore di notizie, blog, giornale on-line. Questo sito Internet sembra aver risolto tutti i problemi che attanagliano l’informazione on-line. Funziona grazie al contributo dei blog che ospita ed ha un eccellente staff di giornalisti. Il problema è che, spesso, fa copia e incolla da altre fonti, svalutandone il prodotto. Non viola nessuna legge sul copyright, ma deruba di visite siti produttori di articoli di alta qualità. Questo è uno dei punti a favore degli editori tradizionali che vogliono mantenere il controllo sui propri contenuti. L’avvento dell’editoria on-line a pagamento rischia di porre serie minacce alla sopravvivenza degli aggregatori. Di conseguenza rischia di compromettere la funzionalità di una parte importante di HuffPo.
Tutti i fenomeni studiati in questo articolo hanno a che fare con Internet. Anche Pro Publica che, per ora, si concentra sulla carta stampata, spera, un giorno o l’altro, di operare esclusivamente su Internet . Tuttavia, bisogna porsi il problema anche di chi salverà la carta stampata. Probabilmente il futuro è in mano ad Internet. Tuttavia, è ragionevole pensare ad un mondo tutto digitale? Nel lungo periodo sì, nel breve periodo no. Uno tra i più grandi tipografi al mondo, Xerox , vuole trasformare i documenti cartacei in documenti intelligenti. In pratica, la carta dovrebbe evolvere in una sorta di supporto multimediale. In questo senso, esistono già alcune applicazioni che permettono di aprire URL, ad esempio, dalle pagine di «Panorama». Si tratta dei codici QR che permettono di stampare su ogni supporto, inclusa la carta, informazioni digitali.
Alla fine di questo viaggio a volo d’uccello sulle tematiche che investono il mondo dell’editoria digitale (e quindi dell’editoria di domani) è interessante notare come il mondo delle professioni dei media si stia complessificando e stia diventando sempre più professionale. Il mercato del lavoro richiederà competenze sempre più raffinate che permetteranno di avere dei media maker finalmente consapevoli del proprio ruolo e dotati di un bagaglio professionale ben definito. Probabilmente, la crisi dell’editoria è ad un punto di svolta. Le innovazioni che abbiamo evidenziato in questo articolo fanno pensare che ci sia spazio per una ripresa del settore. Tuttavia, soprattutto noi giovani, dobbiamo tenere presente che, per quanto le tecnologie possano cambiare, la società avrà sempre bisogno di cani da guardia che la difendano dai pubblici poteri. Naturalmente, le tecnologie digitali permettono potenzialmente ad ogni individuo di far sentire la propria voce e, nella grande massa delle voci, non può sempre vincere chi urla di più. Nonostante la blogosfera esprima eccellenze, il singolo blogger non ha il potere contrattuale di una grande testata. D’altra parte, le grandi testate, per reggere e mantenere il loro ruolo all’interno della società, non possono affidarsi solo ad iPad. Quello di cui hanno bisogno è di personale qualificato e che veda le tecnologie non come un fine in sé, ma come uno strumento per un racconto sempre più efficace